Che cos’è la bellezza? La domanda è il fil rouge di un libro di Gianluca Garelli, saggista e docente all’università di Firenze. Egli interroga, chiede ai filosofi senza fornire risposta definitiva. Che la filosofia, teoretica o estetica che sia, pone in fondo dei quesiti destinati a infinite aperture. Quindi La questione della bellezza. Dialettica e storia di un’idea filosofica (Piccola Biblioteca Einaudi, pp. 178, € 22) scopre una ferita. Si pensi al brutto plateale di certa arte contemporanea. Garelli disvela la massificazione di un ideale vecchio come il mondo. Da Socrate ad Adorno passando per Darwin, per il quale il bello era un criterio della selezione della specie, le riflessioni di Garelli colpiscono e fanno male. Che ne è stato dell’ideale greco? Una “venerabile tradizione” attribuisce alla bellezza equilibrio, proporzione e misura. Aristotele tramanda la disposizione regolare delle parti.
Oggi tutto ciò sembra morto. Paradossalmente, che l’esser belli ormai sembra un imperativo categorico. Invece, secondo lo psicologo James Hillmann, le ragioni dei peggiori “problemi sociali, politici ed economici del nostro tempo possono essere trovati nella repressione della bellezza”. Ciò che è bello è moralmente buono, verrebbe da dire, come facevano i greci. Eppure certi artisti, che del contemporaneo sono interpreti e specchio, sentono l’urgenza di “distruggere il bello”, come disse Barnett Newman nel’48. Ciò non ostante la società si serve della massificazione della bellezza per soggiogare i “popoli”. Attenzione all’arte dunque. Che c’è un motivo se tende a farci orrore, a scuotere le coscienze sfregiando l’ideale classico. È l’apologia della crisi. E in questo libro ci sono tutti gli ingredienti per capirla.