Heidegger antisemita? Il trionfo della perversione del perbenismo

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1462256261-17-6a3c-c985-6d2d-u43010693791601uhb-u43010102381Soltanto nell’era dello slogan, che imbastardisce i santi e devia le virtù, Martin Heidegger può essere associato a parole come “nazismo” e “antisemitismo”. D’altronde, è proprio dell’era dello slogan considerare un avviso di garanzia una garanzia della colpa con garantito scempio della reputazione a vita. Il volume edito da Morcelliana, che sta andando, piccolo miracolo editoriale, in ristampa, Martin Heidegger. La verità sui “Quaderni neri”, a cura di Friedrich Wilhelm von Hermann e Francesco Alfieri (pp.460, euro 35), perciò, non va letto – non ce ne vogliano – per capire il pensiero, pieno di abbrivi e abbagli, del pensatore più influente del Novecento “nel quarantesimo anniversario della morte” (era il 26 maggio 1976), ma va usato come testimonianza cruenta dell’era dello slogan.

Per questo conviene leggerlo a ritroso. Partendo dal saggio, meticoloso e tenace, di Claudia Gualdana – una che coltiva la propria solitudine heideggeriana nei nebbiosi gangli della pianura piacentina – sulla Strumentalizzazione mediatica in Italia dei “Quaderni neri”. Non ne viene fuori un bel panorama della stampa nazionale, facile alle tagliole ideologiche e alle giacobine semplificazioni (della serie, visto che di Heidegger non capisco nulla, tanto vale dargli del nazista, d’altronde, la decapitazione dei titani titilla la presunzione degli intellettuali dell’era dello slogan). “Si ha l’impressione”, conclude la Gualdana, in una rassegna di vizi (tanti) e virtù (pochine) delle “terze” nazionali, “che Martin Heidegger, anziché risalire alle radici del pensiero greco fino a recuperare i Presocratici per poi operare un intero ripensamento dell’essere, anziché insomma scrivere opere imprescindibili nella storia della filosofia occidentale, in vita sua non abbia fatto altro che attaccare gli ebrei”. Accusa, quella dell’antisemitismo, che fa sempre strike quando si vuole demonizzare un gigante – occorre ricordare ancora i casi, pazzeschi, di Céline e di Ezra Pound? Nel caso specifico, obbliga il povero Hermann Heidegger (sempre a ritroso, p.393) a tirar giù le braghe al genitore, giurando che “per tutta la vita Martin Heidegger intrattenne stretti legami d’amicizia, anzi strettissimi, con ebrei”. Tanto stretti che il filosofo preferiva, a letto, le ebree: Hannah Arendt ed Elisabeth Blochmann “erano amanti di mio padre; e non furono le uniche”. Nel lotto va annoverata anche l’ebrea Lily Szilasi, moglie di Wilhelm, con cui Martin intrattenne “intima amicizia” (tanto da cornificarlo).

9788837229283In questa specie di massiccia difesa di “Martino” dall’idiozia esegetica – anzi, esagitata – di alcuni, von Hermann pubblica una lettera di Hans-Georg Gadamer, geniale allievo di Heidegger, del 30 novembre 1987 (sempre a ritroso, p.354) in cui chiude la vicenda dei licenziosi rapporti intrattenuti dal filosofo con il nazionalsociasmo così: “Gli errori e le debolezze di Heidegger non sono presumibilmente diversi o peggiori rispetto a quelli che qualsiasi altra persona in circostanze di emergenza avrebbe corso il rischio di fare”. Se poi questi dati non fossero sufficienti a soddisfare i vostri pruriti – ma secondo voi lo scrittore del Mein Kampf sarebbe stato in grado di capire una frase soltanto di Sein und Zeit? – allora, a questo punto, leggete il tomo dal principio. Dove, con precisione di platino, vengono selezionati alcuni brandelli dei fatali “Quaderni neri” (editi in Italia da Bompiani). Il nazismo nella versione hitleriana è “insipienza storica”, è “nazionalsocialismo volgare”, il filosofo accusa “la malaessenza irresponsabile con la quale Hitler infuriò qui e là nell’Europa”, “l’arrogante mezza-cultura, la pseudo-cultura piccolo-borghese […] la piattezza più spicciola come pensiero legato al popolo” propalate dal nazismo, per cui “ogni elogio del paesaggio e del suolo, ogni esaltazione del sangue non è altro che facciata e pretesto”.

Dovremmo passare il tempo a immergerci nei gioghi linguistici di Heidegger (ad esempio, questo, tratto proprio dai “Quaderni neri”: “la meditazione sulla verità/ dell’Essere è il primo riferirsi/ del posto di guardia/ per il silenzio del passar via/ dell’ultimo Dio”) piuttosto che fare pettegolezzi sui retro pensieri politici – di solito, frutto dei pregiudizi degli esegeti sul sofà – del filosofo tedesco. D’altronde, nessuno si sogna di espungere dalla storia della letteratura patria Ungaretti, Pirandello, Malaparte e Marinetti perché furono firmatari del “Manifesto degli intellettuali fascisti”. Quanto all’era dello slogan, l’aveva già prevista e descritta Heidegger: “non c’è un vero filosofare – ma soltanto un gioco con ‘posizioni’ riprese qua e là – che non è nemmeno attaccabile”. Ne parlava a proposito della deriva nazionalsocialista. Ai giorni nostri, è la perversione del perbenismo.