Ci vogliono gli attributi di ferro per dipingere col fuoco…

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L’opera di Ziranu è femmina: dura e sensuale, dolce e prorompente. Per tirare fuori il candore, il calore, la dolcezza dalla durezza, per addomesticare le meravigliose forze motrici di una donna e trarne l’incanto dell’anima più pura ci vogliono gli attributi di ferro. Ma ci vogliono anche per tenere in mano tutto il dì, in un alcova mistica ed artistica, tra la bottega e la mitologica fucina, un cannello con una fiamma continuamente accesa, immagine evocativa di una tradizione perpetua, come quella sarda che poi, tra le sue mani, sposa il design moderno; ce ne vogliono forse ancor più per utilizzarlo come un bisturi, meglio, come un pennello, talvolta come uno scalpello. Roberto Ziranu è due volte figlio di una patria: di quella italiana, artigiana,  che si sporca le mani e si mischia con la tradizione, con una terra e la sua gente, la sua storia, e di quella sarda. Senza alcuna gratuità espressiva, nelle lastre ferree scolpite, accarezzate col fuoco, graffiate, di Ziranu, riconosci la michelangiolesca maniera di “levare” l’eccesso e scoprire il contenuto, di andare a beccare l’anima fluida del ferro, addomesticando un materiale duro e rozzo con la gentilezza dell’arte.

Nativo di Orani, poi trasferito a Nuoro, Ziranu gira l’Italia – ottima la partecipazione alla sua ultima mostra di metà mese a Roma alle “Officine del design” di Giovanni Deidda – con quotazioni importanti ed opere che sono un inno alla tradizione della sua terra, la Sardegna, ruvidissima e ammaliante signora del Mediterraneo. Allora nelle sue sculture, nei suoi graffi sulla tela di ferro trovi il mare e il vento, leggi i ritmi di una vita con la fronte alle onde, in un moto perpetuo che non è affatto facile da interpretare. Leggi chiara l’estrema voglia dell’artista di non crogiolarsi nell’oceano d’odio moderno, bensì di rappresentare il rasserenante divenire inevitabile, come in “Infinito”, in cui la fiammatura e la strofinatura del ferro volgono al dinamismo, sfiorando appena il senso interpretativo futurista.

“Infinito” – Roberto Ziranu

Prospettive e forme ricavati con l’incisione e la lucidatura; le tinte partorite dal calore e dal tempo della fiamma uniti all’umidità della lastra. Il passato ed il futuro si incontrano dentro la duttilità del ferro. Ziranu ha liberato i colori del ferro, tutte le sue sfaccettature dell’identità  di una materia viva, sanguigna e testarda. Il blu cobalto ed il giallo paglierino, il rosso vermiglio ed il verde muschio. Una livrea di nuance che, senza l’ausilio di ossidi o miscele, rivela il carattere espansivo di un metallo ingiustamente ritenuto grigio, prevedibile”.

Scordatevi l’angosciosa monocromia del ferro.

Tecnica ed estetica, forgiano, è proprio il caso di dirlo, pezzi unici di italico gusto e romanticismo, ferree istantanee di una nostalgia incurabile. Arcaici simboli femminili e maschili oppure della natura, del territorio isolano. Così per i gambali, i bustini o nelle “Vele”, capaci di esprimere il significato del viaggio ed incorporare il movimento del vento, nel metallo che sposa le linee naturali della base in ginepro.

"Vela" - Roberto Ziranu
“Vela” – Roberto Ziranu
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Emanuele Ricucci, classe ’87. È un giovanotto di quest’epoca disgraziata che scrive di cultura per Il Giornale ed è autore di satira. Già caporedattore de "IlGiornaleOFF", inserto culturale del sabato del quotidiano di Alessandro Sallusti e nello staff dei collaboratori “tecnici” di Marcello Veneziani. Scrive inoltre per Libero e il Candido. Proviene dalle lande delle Scienze Politiche. Nel tentativo maldestro di ragionare sopra le cose, scrive di cultura, di filosofia e di giovani e politica. Autore del “Diario del Ritorno” (2014, prefazione di Marcello Veneziani), “Il coraggio di essere ultraitaliani” (2016, edito da IlGiornale, scritto con A.Rapisarda e N.Bovalino), “La Satira è una cosa seria” (2017, edito da IlGiornale) e Torniamo Uomini (2017, edito da IlGiornale)