Quel saggio di Panza contro gli orrori dello sgunz al tempo del capitalismo estetico

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I piccioni di Cattelan alla BIennale di Venezia
I piccioni di Cattelan alla BIennale di Venezia

La salvezza arriverà dai critici fuori tempo, i cosiddetti “scontemporanei”, o da chi si occupa d’altro, filosofi, scrittori, giornalisti. I curator sono troppo involved e con lo sgunz “ce campano”, per cui dagli organizzatori di questo circo Barnum non possiamo aspettarci pentimenti di sorta. D’altronde, come avrebbe detto nel “Colore dei soldi” il giovane Tom Cruise al vecchio maestro Paul Newman che gli rimproverava di tenere la stecca tipo mazza da baseball: “Se oggi tutti giocano così, vuol dire che si gioca così”. Una perfetta tautologia che regge l’art system e le sue bruttezze e che prova invece a scalfire Pierluigi Panza con un dotto saggetto in cui si analizza “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità finanziaria” (Guerini 2015, pp.170, euro 16,50).

La tesi è ben sostenuta nella prima parte. Ci troviamo in una fase di Capitalismo estetico nel quale sono più importanti i simboli delle merci. L’arte da sempre è “un conferimento di valore”. Questo conferimento però non avviene più sulla base di un giudizio critico-valutativo, o di un soddisfacimento popolare, neppure sull’idea che debba sussistere un’aura. Bensì, mediante una costruzione a tavolino del consenso (attraverso mediatori, critici, musei e fondazioni…) tesa a creare un “capitale di visibilità” sull’artista o sull’opera che viene considerata un mero elemento economico; una specie di “azione” che quanto più velocemente viene scambiata tanto più accresce il proprio prezzo. In questo modo, si perde la possibilità che l’arte rappresenti un dimensione di “conoscenza alternativa” rispetto a quella della scienza, se ne disconosce paradossalmente il valore simbolico, l’utilità sociale o comunicativa, l’aspetto trascendente. original-390x270Meno convincente, invece, l’idea che si possa uscire da questo meccanismo retorico, attraverso nuovi approcci cognitivi, per esempio legati alla neuroestetica, per mezzo dei quali registrare il consenso o il dissenso di un’opera “artisticamente intenzionata” con un modello totalmente al di fuori di quello attuale. 

Nella seconda parte, Panza si diverte a enumerare con sapido corredo iconografico gli orrori del contemporaneo e le scorciatoie dell’operare artistico. Per esempio, la dilagante zoofilia (animali vivi, impagliati, squartati, vilipesi) dai cavalli di Kounellis ai piccioni di Cattelan. L’utilizzo del corpo umano e le sue manipolazioni: dall’esposizione del ragazzo down di Gino De Dominicis nel 1972, alle più recenti indagini endoscopiche dedicate ai testicoli di Mattew Barney. Infine, il cipiglioso quanto inutile impegno politico degli artisti, dalle provocazioni dei Settanta fino alla Biennale 2015, vero motore della finaziarizzazione dell’arte, durante la quale nel più radicalchic spirito di contraddizione è stato letto il “Capitale” di Marx per sette mesi consecutivi.

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> Pierluigi Panza
L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità finanziaria
Guerini 2015
pp.170 euro 16,50