“Scito te ipsum”: conosci te stesso. Non a caso, Pietro Abelardo scelse questa frase socratica come titolo della sua etica. Ora l’opera è stata pubblicata dalle edizioni Mimesis per la cura di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri (Etica, pp. 148, euro 14,00).
Correva il XII secolo e Pietro Abelardo, celebre tra l’altro per l’amore con Eloisa, si avviava a diventare uno dei padri della Scolastica e della rinascita dell’Occidente. Fu lui a inventare il termine “teologia” e già questo basterebbe a collocarlo nell’Olimpo del pensiero. In verità c’è molto altro e molto di più, che costò all’infelice la condanna per eresia e al silenzio comminata da Papa Innocenzo II.

(J. Vignaud, 1819)
Abelardo fu un grande innovatore, forse era davvero troppo avanti per i suoi tempi. Amava gli antichi, in modo particolare Platone, quindi il dialogo filosofico, il confronto. Fin qui nulla di nuovo: nei monasteri si pregava, ma si usava tanto anche la testa. Degno di nota invece è che le sue disquisizioni anticipino la filosofia del linguaggio. L’Etica è un’opera di rango proprio perché tratta i principi della morale cristiana – peccato, voluntas e penitenza – da un punto di vista logico. Abelardo sottolinea il concetto di intenzione e vi spiega che non è peccato il desiderio, ma il cedervi abbandonandosi al proibito.
Il libro non piacque a Bernardo di Clairvaux, uno dei suoi oppositori più zelanti. “Avrebbe fatto meglio se si fosse dato da fare per conoscere se stesso invece di uscire dai limiti”: i limiti travalicati erano quelli dell’orgoglio, e un eccesso di analisi razionale per Bernardo lo era. Altri tempi, altri timori.
Eppure, se all’apparenza sembra arduo trovare un aggancio con l’attualità in questo testo così importante, oggi non è ozioso ricordare che l’esercizio della ragione è parte integrante della fede cristiana.