Chi comanda in Italia, la politica o la burocrazia ministeriale? Il Governo o gli inamovibili superburocrati che attraversano indenni legislature e avvicendamenti politici?
La scelta di mantenere al loro posto quasi tutti i burosauri che guidano i ministeri costituisce uno dei motivi, forse il principale, per cui i governi non riescono a ridurre la spesa pubblica e a varare quelle riforme che dovrebbero incidere profondamente sulla vita del Paese.

E’ un sabotaggio “interno” che, forte del monopolio delle informazioni maturate e gestite in maniera iniziatica, della scrittura criptica delle norme, difende la propria indispensabilità e lo statu quo fatto di privilegi, corporativismi, spartizioni e interessi consolidati. Sono i mandarini di Stato che muovono la macchina ministeriale, si scambiano i posti, si coprono gli errori l’un con l’altro legati da una rete di protezione pseudo istituzionale che prosegue anche terminata la carriera.
Intendiamoci, una tecnostruttura esperta e competente è essenziale per il buon governo e per la buona amministrazione, ma con l’eccesso di produzione legislativa, la burocrazia da esecutore si è trasformata via via in attore, protagonista, casta, vero e proprio potere al pari, se non al di sopra, di quello politico, economico, legislativo, esecutivo.
Una burocrazia che gestisce e distribuisce le risorse non ha bisogno della politica se non come simulacro per salvare la forma: diventa essa stessa politica con una presenza onnipotente e pervasiva.
Il progressivo allargamento del ruolo della burocrazia è diretta conseguenza della perdita di credibilità della politica (altrimenti perchè inventare i governi dei tecnici? )e della capacità di rispondere ai cambiamenti. Lo scontro è impari tra la precarietà dei ministri, trattati con sufficienza dai mandarini di Stato, e l’eternità dei burocrati. Questo vale in tutti i ministeri, anche dei beni e della attività culturali e del turismo, al cui interno, direttori generali, magari privi di titoli e contemporaneamente diventati capi di gabinetto, hanno cavalcato indenni l’avvicendamento di sette ministri di espressione politica diversa, rafforzando l’assolutezza del proprio potere “monarchico”, tanto da ostacolare l’approvazione della Legge sullo spettacolo dal vivo.
Incalza è solo il detentore di un record di longevità, è la regola di un Paese che non accetta i codici democratici dell’alternanza, tant’è che solo in Italia il termine spoil system ha assunto un’accezione negativa, come se sostituire gli alti dignitari con uomini di fiducia fosse un delitto di lesa autorità e non un atto che stabilisce il primato fisiologico della politica sull’attività amministrativa.

Se, com’è giusto, dobbiamo accendere i riflettori su tutte le caste, quella della burocrazia non può essere esente, specie se protagonista di quel malaffare, corruzione e cavillosità che rendono prassi normalizzata il ricorso ad espedienti per sveltire iter burocratici, per pilotare l’aggiudicazione di appalti o favorire l’affidamento diretto di lavori a soggetti compiacenti, così contribuendo all’affermazione di quel sistema parassitario che frena, vincola e condiziona la potenza inespressa dell’economia italiana.
I mandarini italiani hanno avuto vita più lunga di quelli cinesi, ma almeno quest’ultimi erano funzionari-studiosi, che si immergevano nella poesia, nella letteratura e nella sapienza confuciana in aggiunta allo svolgimento di funzioni pubbliche. Non è venuto il momento di portare una ventata di rinnovamento e di trasparenza anche nell’alta burocrazia con una rotazione perenne tra ministeri?
“Io so, non ho le prove ma so” diceva Pasolini.