La difficile arte del post-it

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10978532_401237583384909_5178076929063949298_nC’è chi li attacca sul frigo per fissare la lista della spesa,chi per appuntare i concetti di un esame ostico o chi -come raccontò tempo fa la cantante Giusy Ferreri- li ritrova per casa e con frasi degne del più romantico dei fidanzati. Dal 1968 i post-it, celebri biglietti semi-adesivi, nati dalla dimenticanza umana e dall’errore chimico di Spencer Silver (ricercatore americano della Minnesota Mining and Manufacturing Company), sono entrati a far parte della nostra vita quotidiana.

E anche il legame con l’arte è forte. Se si pensa che un’idea fugace spesso è la genesi di un capolavoro, non si può non fermarla. “Se un’idea è un post-it e se l’arte è un idea, allora l’arte è un post-it” recita infatti il sillogismo che riassume tutte le opere in mostra alla collettiva Any Given Post–it. Ospitata fino al 28 febbraio negli spazi della White Noise Gallery (galleria nel cuore dello storico quartiere San Lorenzo di Roma) la mostra corale coinvolge 66 artisti italiani ed internazionali, tra street artists, pittori, fumettisti, illustratori, fotografi, scultori e persino un performer. Tutti invitati a creare un’opera, il più possibile personale, partendo da una stessa base: il famoso foglietto colorato.

Questo diviene elemento da plasmare, adattare ed integrare alla personale cifra stilistica nel rispetto di 1920429_401236920051642_810825637450565398_ndue requisiti: il limite dimensionale (ogni opera è grande massimo 35×35 cm) e l’utilizzo di uno o più post-it (nelle creazioni ce ne sono più di 2000). Gli artisti hanno accolto la sfida realizzando sculture, dipinti, stravolgendo il foglietto semi-adesivo e inserendolo nelle proprie opere in modo sorprendente. Così come in Mo me lo segno di Stefano Tedeschi (anamorfismo 3d che ricrea un’immagine a doppio riflesso su carta) oppure in Monnalisa di Francesco Sgarlata dove la Gioconda si scopre imperfetta e in preda ai lifting (suggeriti dai post-it). Ma capita anche che i foglietti divengano leggiadre farfalle-origami (in Human needs di Bruno Cerasi) o madonnine multicolor (in MISE Ricorda di Antonella Casazza), fino a trasformarsi in pistole western-style (in I love Ammerica di Marco Ercoli).E non mancano anche i temi sociali in “Dimagrirsi a memoria: appunti di un’anoressia” di Giovanna Lacedra e Charlie (omaggio al periodico satirico francese) di Antonella Caraceni.

Un esperimento sull’identità dove l’ingegno viene stimolato all’insegna della creatività. Un concept originale che si confronta con i modelli della Giant Robot di Los Angeles e della Spoke-Art di San Francisco che hanno proposto agli artisti supporti particolari cui approcciarsi. E qui, grazie a questi 66 artisti, il celebre foglietto, da umile oggetto dall’essenza fugace diviene protagonista Fino alla sublimazione. Da base dell’opera ad anima dell’opera stessa.