A maggio si voterà il sindaco di Venezia. Il nuovo Pd di Renzi ha scaricato al volo Giorgio Orsoni, arrestato l’anno scorso a seguito dell’affaire Mose. Tra breve partiranno le primarie dove si scontreranno due, tre, quattro nomi della sinistra. Le primarie hanno l’effetto di saturare l’immaginario collettivo politico di un determinato luogo in un determinato spazio di tempo. Da qui alle elezioni c’è il rischio che il candidato o i candidati degli altri partiti non abbiano alcun risalto mediatico, posto che il centro destra, per ora, non ha neppure dichiarato con sicurezza il proprio. Certo, visto il caso Liguria e le polemiche di Cofferati, le primarie possono avere l’effetto contrario, di aumentare il conflitto all’interno della sinistra, ma con l’effetto paradossale di sedimentare nell’elettorato l’idea che i nomi in campo (di sinistra) siano già e a sufficienza rappresentativi di governo e opposizione.
Data la premessa, occorre ricordare che Venezia è il simbolo della cultura italiana e del nostro patrimonio d’arte, non solo per motivi storici e di quantità, ma anche perché in Laguna è maturato (per vari motivi) un sistema di gestione e valorizzazione unico e vincente. Pubblico e privato lavorano in perfetta armonia: il Comune ha privatizzato i musei civici con la Fondazione Muve che però gestisce anche Palazzo Ducale che è di proprietà dello Stato; lo Stato è all’avanguardia con la Biennale, la più importante manifestazione d’arte contemporanea del mondo. Il privato italiano fa la sua parte, per esempio, con la Fondazione Prada; il privato straniero eccelle: si veda il Guggenheim e Pinault a Punta della Dogana e Palazzo Grassi. Il risultato complessivo sono più di 20 milioni di turisti all’anno.
Che dire? Venezia val pure una messa.