Anch’io ero OFF: al telefono con Renzo Arbore

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AdnKronos

Si ricorda un episodio OFF divertente o imbarazzante dell’inizio della sua carriera?

Ne ho avuti tanti, perché ho una vita fortunatamente lunga. Ricordo quando suonavo per gli americani, per esempio, a Napoli, per la United States Organization, che è un’organizzazione fantastica di assistenza ai militari americani. Il mio pianista non sapeva l’inglese e siccome i nostri ospiti ci chiedevano i pezzi americani, gli avevo detto: “Devi dire sing the melody, canta la melodia. Così tu capisci che pezzo è, e lo facciamo. E ci danno anche una mancia in dollari”. Che poi era un dollaro, non di più. E una volta trovai questo pianista che si accaniva contro un nero altissimo e continuava a dirgli “Sing the melody, sing the melody…”, allora andammo a vedere e il nero aveva chiesto al pianista dov’era la toilette: “Where is the restroom?” e lui gli diceva: “Sing the melody”! Lì nacque la mia passione per gli Stati Uniti d’America.

Lei che strumenti suonava?

Suonavo un contrabbasso a tre corde, cantavo le canzoni americane e strimpellavo il clarinetto. Ero alle prime armi col clarinetto, però eravamo un gruppo di appassionati di jazz, io facevo parte del Circolo Napoletano del Jazz, e quindi eravamo invitati anche a Bagnoli, alla Nato, a sentire la Fitzgerald, Louis Armstrong, o David Brubeck. La passione del jazz c’era da quando avevo 14 anni, ma lì ho consolidato la mia conoscenza. E adesso sono presidente dell’Umbria Jazz Festival. Devo dirlo: noi sminuiamo sempre le cose belle, invece Umbria Jazz Festival è probabilmente il più bel jazz festival del mondo. Sono andato a quasi tutti, e i migliori jazzisti del mondo vengono a Perugia e d’inverno a Orvieto. La bellezza dell’Umbria, di Perugia, di Orvieto, ma anche delle altre location, fanno di questo festival il più ambito: tutti vogliono venire ad appuntarsi la medaglietta per aver suonato all’Umbria Jazz.

Ed è anche un festival che conserva ancora elementi di sperimentazione e non si è piegato completamente alle logiche del pop…

Facciamo pochissimo pop, per catturare il pubblico, ma pop di qualità. Per esempio, quest’estate verrà Doctor John, il pianista blues. Abbiamo ospitato Tony Bennett, Gaetano Veloso, che non sono veramente jazz. Però, anche le enciclopedie del jazz comprendono Frank Sinatra e Tony Bennett e Ben Goldberg, pure se fanno o hanno fatto canzoni. Erano canzoni talmente di qualità e di classe che erano molto vicini allo swing e allo spirito del jazz.

Torniamo un attimo al discorso di Napoli. Lei, studente universitario e appassionato di jazz…

Devo anticiparvi una cosa: sul canale Storia, ai primi di giugno, andrà in onda un programma mio e di Raffaele La Capria, il grandissimo scrittore, adesso novantenne. Parliamo proprio della sua Napoli – la Napoli della generazione precedente alla mia, quando a Palazzo Donn’Anna c’erano Antonio Ghirelli, Franco Rosi e tutti gli altri suoi amici –  e della Napoli successiva, quando c’erano ancora gli americani, e io andai a studiare Giurisprudenza. È  un programma bellissimo, lo raccomando perché è fatto da Fabrizio Corallo, che è un regista straordinario e ha trovato un sacco di documenti dell’epoca, meravigliosi.

Ce lo guarderemo con piacere. Lei ha inventato una sorta di sintesi straordinaria: da una parte c’è, se vogliamo, l’atteggiamento goliardico dello studente universitario, dall’altra l’improvvisazione, oltre che improvvisazione musicale anche improvvisazione della parola. La miscela è esplosa alla radio con “Bandiera Gialla”e “Alto Gradimento”. Si riconosce in questo?

Devo essere grato proprio alla musica e alla mia passione per il jazz. Se non avessi apprezzato subito questa caratteristica del jazz che è l’improvvisazione, che mi ha affascinato moltissimo, probabilmente io e Boncompagni non saremmo stati i primi ad adottare il linguaggio parlato e improvvisato alla radio… addirittura consegnavamo alla SIAE le registrazioni invece che i copioni, perché non scrivevamo e quindi facevamo prima la trasmissione e poi come documento consegnavamo le musicassette. Purtroppo molte sono andate perdute. La devo proprio al jazz, l’improvvisazione, quella caratteristica che poi ho continuato a perseguire alla televisione… e anche in genere adesso, come stiamo facendo noi! Lo dico solo per il pubblico del giornaleoff.it: le conversazioni di “Quelli della notte” venivano decise esattamente dieci minuti prima della messa in onda. Questo lo testimoniano tutti i protagonisti, da Marisa Laurito a Nino Frassica. Perché non ci si preparasse prima e ci si divertisse veramente e autenticamente a inventare delle stupidaggini.

Però in quel momento potevano nascere anche delle cose un po’ particolari che uscivano fuori dai binari… è vero che all’epoca de “L’altra domenica” ci furono addirittura dei brigatisti che pensarono di telefonarvi?

Sì, l’ho saputo in ritardo. Per la verità, quando per la prima volta io misi il telefono a disposizione del pubblico – non era mai successo, nemmeno in America, il “da dove chiama?”, cioè che si potesse chiamare la televisione direttamente da casa. Lo facevano solo le primissime radio private – quando io con Ugo Porcelli ci inventammo questa cosa, naturalmente pensai che accanto alle telefonate dei concorrenti potessero arrivare delle cose di questo tipo. Domandai ad Andrea Barbato: “Se succede una cosa del genere, mi dici che debbo fare?” e lui mi rispose: ”Lasciali parlare”. Questa era la decisione presa dal TG2, il programma dipendeva dal TG e dalla rete. Poi ho saputo sia da un giornale sia personalmente, parlando con una persona dentro, che avevano approfittato di questo numero 3139 per fare dei programmi, naturalmente non trovando la linea libera perché fin dalla prima volta che telefonavano migliaia di persone.

Lei è un grandissimo improvvisatore… ma il suo amico Luciano De Crescenzo dice “Arbore è un misto tra un genio e un dittatore”. È vero?

Dittatore proprio no! È strano che Luciano l’abbia detto, perché lui sa benissimo che il mio atteggiamento è proprio contrario alla dittatura. Io dico “facciamo così” con sicurezza, perché per esempio ai personaggi che ho inventato ho dato personalità, quindi per dare una personalità a Passaglia, che ne aveva una sua, per dare una personalità a Catalano, o per dare personalità a Marisa Laurito, che non fosse quella dell’attrice ma quella della cugina, dovevo imporre una certa linea. Era un insegnamento. In genere, tutto ciò che ho fatto scaturiva da un mio colloquio amichevole con i protagonisti. Perfino nei film con Roberto Benigni, io lo caricavo, lo massaggiavo, gli dicevo: “Allora, puoi dire questo, puoi dire quest’altro… se vuoi”. Proprio era la mancanza di dittatura che li stimolava, erano suggerimenti, non c’era la paura di doversi ricordare questo o quell’altro. Mai dire: “Tu devi dire esattamente così”. Se me lo dicono, per esempio nel cinema, io non lo so fare. E infatti come attore sono abbastanza cane.

Quindi, libertà di cazzeggio come libertà creativa. Lei ha fatto nascere tantissimi talenti: Catalano, Gegè, Antonio e Marcella, Bracardi, Benigni, che abbiamo nominato prima, Frassica, D’Agostino… Per esempio, D’Agostino si aspettava che poi diventasse arbiter diciamo elegantiarum, lui direbbe cafonalarum, della società?

Beh, diventare arbiter elegantiarum era il suo destino. Lui bazzicava moltissimo la società, soprattutto i giovani, faceva il dj, quindi sapeva tutto. Se volevi sapere qual era il locale in – la parola è brutta – del momento, telefonavi a D’Ago, e lui ti diceva: “Vai lì al Testaccio, c’è questa cosa”… però da quello a diventare un grandissimo spione, nel senso buono perché Dagospia è la sua rubrica dove suggerisce cose, estrapola articoli e informa lui stesso, io non mi aspettavo che lo sapesse fare in maniera così… sapiente, diciamo. Perché lo fa con grande cognizione di causa. Si può abbracciare o meno qualche sua teoria, però Roberto è certamente molto attento.

A Sanremo quest’anno ha detto: “Ho conosciuto Antonello Falqui, che ha fatto la TV classica, ed Enzo Trapani che ha fatto l’altra TV”. E invece dopo? Il nulla? Lei ha detto che la TV di oggi è una TV paracula: conferma?

Eh beh, certo. È una TV asservita completamente all’Auditel. Sto leggendo il saggio di MarioVargas Llosa sulla società dello spettacolo: questo premio Nobel sostiene proprio che alla fine la TV è diventata un’industria, e quindi ha perso le caratteristiche vagamente artistiche che aveva prima. La televisione, quando l’abbiamo fatta noi, ma soprattutto quando la faceva Falqui, e anche tanti registi straordinari dell’epoca, si basava sul fare una cosa bella vagamente artistica, vagamente vicina al mondo del cinema. Non sarà stata arte cinematografica, ma certe opere sono rimaste televisivamente legate al mondo dell’arte. Adesso la definizione “TV d’arte” è riservata solo a qualche canale un po’ così: ce n’è un po’, diluita nelle reti, ma bisogna proprio andarla a catturare. Ma questo succede anche in America, non è una cosa solo italiana. E poi soprattutto per accontentare l’Auditel, che è diventato il dittatore supremo di quello che succede in televisione per ragioni commerciali giustificatissime, ma comunque economiche, si fanno anche, come si dice a Roma, le peggio cose. Il pubblico dovrebbe essere presente alle riunioni di redazione dei programmi, quando si decide: “chiamiamo questa ragazza perché fa vedere le gambe… chiamiamo questo perché si arrabbia… chiamiamo questo perché si arrabbia con quello che si arrabbia… chiamiamo questo perché è il re del gossip…”. Tutto è fatto in funzione dell’ascolto mattutino del giorno dopo.

Una cosa che però lei è riuscito a fare è stata portare la musica in TV con un programma poco conosciuto che è durato molto, ed era in una fascia un po’ particolare,  come Doc…

Sono molto contento che me lo ricordi, perché Doc è stato un programma fondamentale. C’è un archivio che ha la Rai, preziosissimo, perché sono 400 puntate in cui sono venuti tutti, da Miles Davies A Enzo Iannacci. Da Francesco De Gregori nel pieno della sua creatività a Joe Cocker, o James Brown o Dizzy Gillespie. Pochi sanno che io, siccome in qualche maniera mi diverto a pensare al futuro, non al passato, facevo registrare agli artisti, oltre che le cinque performance che poi andavano in onda dal lunedì al venerdì, anche quaranta minuti in più che rimanevano nell’archivio della Rai. Quindi ci sono 40 minuti di Miles Davies, mai visti, mai utilizzati, che stanno lì. Adesso poi forse c’è tutto il problema dei diritti, ma sarebbe bello magari che qualcuno andasse a scoprire. Quello è stato un periodo straordinario per la musica: c’era già stata la rivoluzione del rock, il jazz era diventato fusion, era un periodo di grande creatività. Adesso diciamo che ci stiamo godendo i postumi di questo periodo.

È da un bel po’ che non va in televisione e non fa più dei programmi. Si vedrebbe in un programma televisivo? Come se lo immagina? Ci sono speranze di vederla? E se non ci fossero, cosa le piacerebbe fare?

Io adesso ho un canale, renzoarborechannel.tv, che per adesso è un po’ silente e di repertorio soprattutto mio, anche recente. Cioè, se vado a fare come è successo una serata ad Alba e a parlare con Fabio Fazio nelle Langhe, io lo registro e poi lo si vede in questo canale. Così con la mia orchestra, se vado a fare qualche concerto particolare, oppure un po’ di cazzeggio incontrando Gigi Proietti. Accanto al repertorio recente e anche antico mio, poi ci sono delle cose che secondo me il pubblico dovrebbe vedere: credo che la mission di uno della mia età sia far capire ai ragazzi che accanto a questi epigoni di Drive-In ci sono i classici che non si possono ignorare. Da Totò, Aldo Fabrizi, Alberto Sordi, Walter Chiari… le basi. Fortunatamente, c’è la rete che secondo me è un dono della provvidenza, e rapidamente informa chi vuole essere informato delle cose che sono fondamentali del passato per poter fare il futuro. Anche musicale. Io sto dedicandomi, adesso lo farò con maggiore sollecitudine, a questo renzoarborechannel.tv, poi vedremo se ne scaturirà qualche programma curioso. Sto esplorando, diciamo. Poi, per la verità, i programmi come quelli di un tempo sono difficili da farsi perché non ci sono più improvvisatori. È rimasto Nino Frassica e qualche altro con cui ho già lavorato, ma di nuovi talenti che improvvisano spericolatamente come facevamo noi non ce ne sono. Io li cerco, vengono a trovarmi alcuni che vengono ai miei concerti, e io mi diverto a improvvisare con l’Orchestra Italiana. Chi venisse a vedere un concerto, capirà che non è solo musica, ma anche cazzeggio con i miei musicisti.

Però qualcuno mi sembra che ci sia, per esempio Zalone è un ottimo musicista e anche un bravo performer. Lei cosa ne pensa?

È ottimo, Checco Zalone, anche lui mi chiese di collaborare, però quando gli chiesi se improvvisava, lui disse: “Purtroppo no, io scrivo”. È una scuola rispettabilissima, ma è come dire che un cantante pop come Eros Ramazzotti è un musicista di jazz. Sono due cose differenti, il cantante pop non sa improvvisare una canzone che non conosce, il jazzista lo fa. Si ritorna sempre a questa storia del jazz… Per dirla in soldoni, i jazzisti se tu gli dici di suonare una canzone napoletana lo fanno subito, Bollani gli dici “fammi Ohi Marì”, lui l’ha sentita una volta e la fa. Male, in maniera jazzistica, benissimo, però la fa. Il musicista classico, il musicista che ha studiato, quello che viene dal conservatorio, no. Se non ha lo spartito non riesce a farla.

Una curiosità, che ne pensa di trasmissioni tipo X-Factor, oppure The Voice of Italy, le sembrano interessanti?

Mi sembrano interessanti perché in qualche maniera vengono fuori dei talenti, e quindi sono una promozione per artisti in erba. Alcuni diventano grandi, altri vivono solo una stagione. Però, certamente mi piacerebbe che accanto ai cantanti – cantanti, cantanti, cantanti – fossero premiati anche musicisti. Talenti di altro tipo… quindi, perché no? Chitarristi, clarinettisti, pianisti… ma anche di altre discipline artistiche.

Un po’ di tempo fa, ha detto che Renzi è uno sfrucugliatore, uno che scombina le carte e la liturgia politica. È questo ancora il giudizio o l’ha rivisto? Cosa ne pensa?

Sì, sta sparigliando, sta scombussolando tutta la situazione insieme con Grillo. Insieme con tutti, perché mi sembra che la situazione sia proprio questa, ognuno spariglia.

Ma nessuno costruisce…

Per adesso sparigliano, poi si vedrà.