Il Festival di Venezia è uno strano luogo dello spazio, del tempo e dell’anima. Oltre che dell’arte. Fa diventare il centro del mondo un luogo altrimenti brutto e inospitale come il Lido. Si contrae e si allarga tra sale che nascono, muoiono e crescono, feste sopravvalutate, interviste sempre più difficili e sempre meno interessanti, stand di sponsor sempre più scarni o inesistenti. Il tempo si dilata per farti vedere più film in un giorno di quanti molte persone normali vedano in un anno, in sveglie all’alba e ritorni a notte fonda. E infine ti sa sempre sorprendere.
Noi abbiamo trovato dieci cose che ci colpiscono di questo Venezia 71. E ve le diciamo qui.
- A proposito di tempi, alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica tutto è relativo. Gli 88 minuti di Amos Gitai, qui con il suo film “Tsili”, ti possono sembrare infiniti. I 138 de “Il giovane favoloso”, troppo pochi.
- I giudizi sono figli dell’estemporaneità, in un’arte che avrebbe sempre bisogno di riflessione e immedesimata distanza. Così al Lido di Elio Germano fa notizia il pugno chiuso esposto appena sceso dalla lancia, che la sua incredibile interpretazione di Giacomo Leopardi, tra le cose più sconquassanti e potenti che si sono viste al cinema negli ultimi anni. Bontà nostra.
- C’è un’aria mesta a Venezia. Anzi, al Lido. C’è chi cantava “com’è triste a Venezia”, ma non parliamo della melancolia agrodolce che sa restituirti il centro di una città magica. Parliamo invece di un luogo un tempo sfavillante che ora è in tono minore: nel week-end di solito preso d’assalto al pubblico, le strade erano percorribili, il red carpet non assalito ma appena riempito, persino Lapo Elkann era sobrio e misurato. E la contrazione degli sponsor ha ridotto gli spazi ludici o ristoratori. E non ci sarà la festa di Ciak. Che qui a Venezia è come il cenone in famiglia a Natale: impossibile pensarla e pensarsi senza.
- E però, dopo lo sgomento di questo minimalismo della Mostra, pensi che un inzio di festival così buono per qualità e forza delle storie, non si vedeva da un po’. E allora forse, come noi stessi avevamo detto in questa rubrica, ridimensionarsi non è diventare peggiori. Se si sfugge alle logiche dello show business a tutti i costi, l’Arte Cinematografica torna protagonista, in tutte le sezioni. E godi come quando ti gusti “She’s Funny That Way” di quel giovanissimo cineasta che è l’ultra 70enne Peter Bogdanovich, lieve e vitale come un adolescente, con un Cantet cubano, un Messi tra De La Iglesia e Valdano, con l’iraniano “Melbourne”, o con il “Wall Street post 2006”, tra sfratti e truffe immobiliari, di Ramin Bahrani. Un film coraggioso, anche nella dedica: a un critico cinematografico, categoria matta e disprezzatissima a queste latitudini. Chi è l’oggetto della dedica? Quel geniaccio di Roger Ebert.
- E’ avvenuto un miracolo. A Venezia hanno azzeccato i film italiani in concorso. Dimenticatevi i tempi di Marco Müller in cui sembrava che il direttorissimo lo facesse apposta a scegliere i peggiori sul tavolo, qui ci troviamo con un incompiuto ma comunque apprezzato Saverio Costanzo (“Hungry Hearts”), un grandioso Munzi (“Anime nere”), un riuscito e vibrante Martone (“Il giovane favoloso”). Delusi i critici che vengono qui per ridere, fischiare e umiliare soprattutto le opere nostrane.
- Tra i più applauditi un film fatto di assenti. “Belluscone”. Una storia siciliana di Franco Maresco: non c’è l’ex premier, non c’è neanche il regista qui al Lido. C’è chi invita a disertare le proiezioni per ciò che si dice su Berlusconi (la cosa forse meno interessante di un’opera più antropologica che d’inchiesta). Assenti anche loro, quindi. E qui gli assenti sembrano avere tutti ragione, per una volta. Ricordiamoci che una sala cinematografica non è un’aula di tribunale, in tutti i sensi. Anche se il cinema è uguale per tutti.
- Genocidio culturale. Così parlo Iňarritu. Che usa supereroi (l’ex Batman Michael Keaton, l’ex Hulk Edward Norton, la fidanzata dell’Uomo Ragno Emma Stone, Zach Galifianakis, che dei superpoteri deve averceli per forza per aver superato ben tre Notti da Leoni) per dirci come il cinema di uomini e donne mascherati ha appiattito l’immaginario. Per alcuni. “Birdman” rimette le cose a posto, con uno sguardo cinematografico di audacia straordinaria. Lui si che con la macchina da presa tra le mani ha i superpoteri.
- Autoreferenzialità. E’ Venezia bellezza, è il cinema moderno. Se ci fanno vedere un altro film sulla crisi dell’attore, come se fosse un minatore in cassa integrazione, gli facciamo costruire la nuova Sala Darsena a mani nude (ci siamo dimenticati di un miracolo: il capannone che prendeva questo nome è diventato uno dei luoghi di cinema più belli che ci sono nelle rassegne internazionali).
- E’ cominciato il campionato di calcio. Ieri pub, bar e ristoranti del Gran Viale avevano più persone con l’accredito al collo che le sale vicino al Casinò. Ma nell’intervallo delle partite pare abbiano parlato di Settima Arte. Paragonando Higuain ad Al Pacino per la capacità di recitare monologhi spiritati e di Balotelli come Lars Von Trier. Entrambi sopravvalutati.
- Ci sono un documentario su Gian Luigi Rondi e uno su Giulio Andreotti. Spazio ai giovani. Il futuro è una terra straniera.