Enfant prodige della cultura italiana Cristiano Leone nel 2023 ha ottenuto la presidenza della Fondazione Antico Ospedale Santa Maria della Scala di Siena partecipando al bando e vincendolo. In occasione dell’inaugurazione dell’installazione Path To The Sky dell’artista statunitense Jacob Hashimoto ci ha raccontato il master plan per la ridefinizione della nuova identità del complesso museale, una “casa dei cittadini” che sia in relazione con gli abitanti di Siena.
Come è arrivato a Siena da Napoli, sua città natale?
Più che napoletano mi sento cittadino del mondo avendo completato i miei studi in Francia. La mia carriera di fatto si è sviluppata lì, anche se parte del mio dottorato europeo ho scelto di farlo all’Università di Siena, città che mi ha colpito al cuore. Il mio percorso però è passato anche per Roma dove sono stato Direttore della Comunicazione di Villa Medici. Quando sono tornato a Siena, dopo una carriera accanto al Presidente Macron e dopo aver curato una mostra dedicata ad Hermès su richiesta dell’azienda, è stato grazie all’invito del Rettore dell’Università di Siena. Lo stesso mi volle a tenere un discorso che fosse di ispirazione agli studenti basato sull’importanza cultura che deve avere una visione anche quando spesso si scontra con degli ostacoli che bisogna fronteggiare. In quella occasione il sindaco di Siena mi chiese di collaborare contestualmente all’emissione del bando per la presidenza della Fondazione Antico Ospedale Santa Maria alla Scala e a tal proposito mi fece inviare il link di partecipazione. La mia scelta di aderire alla proposta è legata al fatto che la città di Siena mi aveva accolto nel suo abbraccio una prima volta da studente, arrivai primo tra tanti studenti europei al concorso per ottenere il dottorato, e in seguito da professionista nel management della cultura. Diciamo che la mia esperienza globale nella strategia culturale mi consente sia di immaginare cosa sarà il complesso museale Santa Maria della Scala, che da ospedale evolutosi appunto in polo museale necessita di un continuo ripensamento importante, sia di immaginare concretamente dei processi artistici che ne valorizzino la storia millenaria.
Cosa ha ispirato questo progetto legato alla installazione firmata Jacob Hashimi?
Innanzitutto ci tengo a dire che io stesso ho deciso di alternare una grande mostra patrimoniale, attingendo appunto alle opere degli artisti locali contemporanei come il Vecchietta, affidando l’allestimento a Giulio Dalvit un giovane milanese curatore della Frick Collection di NYC, con una mostra internazionale come l’esibizione delle opere di Jacob Hashimi, pezzi che non siano in contrasto con il patrimonio storico ma che anzi lo valorizzino. Hashimi ha la capacità di confrontarsi con il passato ma soprattutto ha la sensibilità di entrare in contatto, attraverso la sua arte, con un luogo particolare come un ex ospedale che per millenni ha rappresentato il luogo dell’accoglienza. L’Ospedale di Santa Maria alla Scala infatti è stato uno dei primi xenodochi, luoghi di accoglienza di pellegrini e forestieri, pertanto è proprio assecondando questa sua origine che ci rivolgiamo anche ad artisti internazionali. Siena così accoglie questo artista newyorkese che espone in tutto il mondo e che si è reso disponibile ad sposare la storia così potente di Santa Maria della Scala, una storia fatta di umanità non solo di chi è stato curato qui ma anche di coloro che hanno curato. Jacob Hashimi si fa portavoce di questo senso di umanità profonda attraverso i numerosi aquiloni che rappresentano i sogni e le speranze delle persone che sono transitate in questi luoghi.
Insieme alla mostra, Path to the Sky, che si inaugura i questi giorni Lei è sostenitore e promotore di un importante lavoro di ridefinizione del Polo Museale di Santa Maria della Scala che aspira a diventare il Centre Pompidou della Toscana.
La trasformazione dell’ospedale a museo è avvenuta non con me bensì grazie all’architetto Guido Canali ben cinquant’anni fa. Tuttavia il progetto, benché già allora visionario, è diventato obsoleto per tanti aspetti, in quanto è cambiata proprio l’idea di museo. Io, in quanto presidente della fondazione, devo necessariamente comprendere come possono essere distribuiti i fondi messi a disposizione per una ridefinizione etica e intellettuale dello spazio che a distanza di tanti anni è in parte superato: possiamo quindi unirci a quanto è stato fatto in passato proiettando insieme allo status quo un’idea per elaborare altri 18 mila metri quadri da restituire al pubblico. Con il mio gruppo di lavoro abbiamo deciso di progettare questo nuovo step insieme a tre studi architettura che hanno all’attivo opere ragguardevoli: Odile Deq che con il suo studio ha trasformato il MACRO di Roma da spazio industriale a spazio museale; lo studio LAN che ha già vinto il bando per effettuare l’estensione del MAXXI di Roma; Hannes Peer, altoatesino che con il suo studio sta effettuando un imponente lavoro sulle TERME DI CARACALLA a partire dallo specchio d’acqua antistante le terme il cui progetto è stato sostenuto dal sottoscritto. Si tratta quindi di tre personalità che hanno una storia con progetti di rilevanza straordinaria consentendoci, in quanto fondazione, di affidare dei progetti specifici la cui competenza sia assolutamente comprovata. Ritengo molto importante anche solo il fatto che questi studi abbiano accettato l’invito a collaborare al master plan dimostrando una coerenza che abbraccia tutti coloro che sono entrati a far parte di questo progetto, una missione che ci supera tutti e non si conclude dopo un millennio ma si vuole trasportare nei millenni a venire .