Gianni Versace, che non dimenticò mai quel mare di Scilla e Cariddi

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Gianni Versace fu assassinato 25 anni fa sulle scale della sua villa a Miami. Era il 15 luglio 1997 e il mondo della moda viveva una giornata di dolore: Andrew Phillip Cunanan, 28 anni, gli si avvicinò sparandogli a freddo due colpi alla nuca. Vi proponiamo il pezzo di Raffella Salamina dedicato a questa icona pop del Made in Italy, pubblicato sul mensile CulturaIdentità di dicembre 2021, uno speciale a doppia pagina con un poster di Gianni Versace, che il 2 dicembre 2021 avrebbe compiuto 75 anni.

indietro, e tien lo viso chiuso: che se il Gorgon si mostra, e tu il vedessi, nulla sarebbe del tornar mai suso”. “Chi guarda la Gorgone negli occhi rimane pietrificato”: così avverte il Sommo Poeta, nel canto IX dell’Inferno. Medusa è una figura femminile perturbante, bestiale seppur irresistibile. Il suo è un fascino ipnotico, vertiginoso proprio come il potere seduttivo che trasferiva nelle sue creazioni lo stilista Gianni Versace. La sua Medusa, dunque, è la rappresentazione della donna fatale. “La scelsi in maniera decisamente casuale, raccontava lo stesso Versace. Volevo creare un logo unico che rappresentasse la mia moda. Medusa mi piaceva. Mi convinsi ancor di più scoprendo che era stata raffigurata in tempi non sospetti sul portone dell’ex palazzo Rizzoli in via Gesù a Milano (acquistato dai Versace nel 1981, ndr). Secondo la leggenda, infatti, chi incrocia lo sguardo di Medusa resta pietrificato; chi comprerà la moda della Medusa, perciò, resterà ipnotizzato dal suo fascino”. E così, nel 1993, nasce uno dei simboli più riconoscibili del mondo della moda. Da un’intuizione geniale: “Rendere ciò che è noto, ovvero l’antico, qualcosa di nuovo”.

Gianni Versace non ha mai dimenticato il profumo del mare antico di Scilla e Cariddi. E’ la sua Calabria che sente di dover raccontare riecheggiando gli antichi splendori della Magna Grecia. Una terra che ancora conserva l’idea del mito e una dimensione ancestrale. Nei suoi abiti Versace ricreava elementi figurativi della pittura vascolare greca, riproponendo la sontuosità dei rituali ellenici. I bottoni ricalcano le monete degli antichi tesori, altri decori invece i capitelli dorici dei templi. “Mentre lavoravo partendo da un’opera d’arte – scriveva Gianni – l’opera stessa era talmente dentro di me che le idee si creavano spontaneamente, in pratica senza che io ci pensassi”. Fedele al concetto aristotelico del bello corrispondente al vero, affascinato dall’estetismo e dai suoi eccessi più accattivanti, rileggeva Catullo e Platone. Versi che si trasformavano in citazioni estetiche e che lo portavano a indagare il neoclassicismo, il manierismo dei mosaici bizantini e il rigore delle greche. Per lo stilista il Sud Italia era l’imprescindibile ponte ideale tra Oriente e Occidente. La sua identità era, quindi, un patrimonio da promuovere nel mondo e non limitatamente alla moda. Questa è la forza del pensiero e dell’arte di Gianni Versace, interprete carismatico del contemporaneo. Con le sue creazioni ha proiettato l’iconografia del passato in un futuro fulgido.

Nato il 2 dicembre del 1946, a Reggio Calabria, appassionato fin da bambino di moda e di archeologia classica, Versace ama trascorrere i pomeriggi lavorando con l’ago e il filo nella sartoria della madre. Di questi ambienti è assiduo frequentatore negli anni Cinquanta, impara il mestiere divenendo un abilissimo artigiano della stoffa. È proprio questo il contesto in cui scopre la bellezza. “Reggio è il regno dove è cominciata la favola della mia vita: la sartoria di mia madre, la boutique d’Alta Moda. Il luogo dove da piccolo cominciai ad apprezzare l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide, dove ho cominciato a respirare l’arte della Magna Grecia”.

È qui che con i suoi fratelli, Donatella e Santo, ha iniziato a muovere i primi passi verso la vita e verso la sua grande passione.
A Reggio Calabria affondano le radici della sua creatività, in una famiglia che ha saputo trasmettergli valori saldi. Qui è cresciuto senza troppe pretese, ma con un sogno straordinario quanto l’impero che in pochi anni è riuscito a realizzare. La famiglia è sempre stata quella protezione che lo ha accompagnato fin dagli inizi nella sartoria della madre Francesca. Qualche anno dopo il suo arrivo a Milano, nel 1976, lo raggiunge il fratello Santo. Più grande di Gianni, più esperto sul versante economico. Il suo arrivo al fianco del fratello minore proprio nel momento in cui si sta facendo un nome diventa provvidenziale. Così come la sorella Donatella è stata sempre il suo braccio destro. Sarà per lui amica, musa, pungolo continuo di un’inesauribile creatività.

“Reggio Calabria, primi anni Cinquanta. Tutte le signore bene di Reggio vanno a farsi fare i vestiti da Franca Versace, che ha la sartoria più importante della città e di tutta la Calabria. Nessuna è brava come lei (…) si ispira sì ai modelli francesi, ma nella fase del taglio, quindi fin da subito, modifica la teletta con blitz creativi che rendono quasi impossibile risalire al couturier originale”, questo è l’inizio di Il mito dei Versace, di Minnie Gastel, edito da Baldini Castoldi Dalai nel 2007.

Gianni non dimenticherà mai l’importanza di quella esperienza, perché per lui, uno dei massimi sperimentatori nella storia della moda, la base di tutto è sempre stata la manualità artigianale: “Io sono un sarto. Quando sono arrivato a Milano da Reggio Calabria tutto quello che avevo imparato da mia madre l’ho dovuto dimenticare perché c’erano altri termini, altre tecnologie. Poi man mano ho scoperto che il suo insegnamento era ancora valido. Ho scoperto che il vero artista è l’artigiano. Mi fanno ridere certi stilisti che dicono di non essere sarti.

Certo, visti i loro abiti, salta subito all’occhio. Secondo me, invece, il vero artista è quello che realizza le cose con le sue mani. Uno stilista quindi deve essere un sarto” (Gianni Versace, 1990).

Il caldo sole del Sud, la seduzione, il piacere, sono tutti elementi che hanno sempre nutrito la sua arte. Riecheggiano nelle linee gotiche dei suoi abiti che abbracciano un classicismo fatto di figure mitologiche, tratti nitidi, colori pieni e opulenza d’oro. Le collezioni evocano la sua terra madre e soprattutto l’amore per la bellezza, la seduzione, la passione per l’arte e per l’energia del Sud.

“L’unica cosa che dobbiamo indossare sempre e senza mai dimenticarcene è noi stessi, diceva Gianni. La nostra pelle, perché essere se stessi resiste a qualsiasi volgarità”.