E’ morto a 72 anni Stefano D’Orazio, uno dei pilastri dei Pooh. Batteria, voce e flauto traverso e anche uno degli autori dei testi, classe 1948.
“Due ore fa… era ricoverato da una settimana e per rispetto non ne avevamo mai parlato… oggi pomeriggio, dopo giorni di paura, sembrava che la situazione stesse migliorando… poi, stasera, la terribile notizia. Abbiamo perso un fratello, un compagno di vita, il testimone di tanti momenti importanti, ma soprattutto, tutti noi, abbiamo perso una persona per bene, onesta prima di tutto con se stessa. Preghiamo per lui. Ciao Stefano, nostro amico per sempre… Roby, Dodi, Red, Riccardo”.
L’intervista che segue, a Dodi Battaglia, risale a pochi giorni fa (Redazione)
Scoprirsi improvvisamente single e vivere felice? Si può. Anche se in questo contesto non parliamo di una relazione sentimentale, trovarsi dopo cinquant’anni di musica insieme a dover fare i conti in solitaria, credo si possa serenamente equiparare a quel genere di rapporto. Il protagonista è Dodi Battaglia, il chitarrista dei Pooh, lo storico gruppo che è entrato a far parte della storia della musica italiana e che nel 2016 ha deciso di interrompere un sodalizio che ha attraversato generazioni di fan. Ma questa separazione ha dato a Dodi la possibilità di rimettersi in gioco, di scoprire nuove sfumature del suo essere musicista e di produrre nuovi lavori. In questa occasione per Il GiornaleOff approfondiamo il suo lavoro con Al Di Meola per il singolo ONE SKY di recente uscita. Ma ne approfittiamo per fare un simpatico e interessante viaggio nel suo mondo, fatto di schiettezza e di positività. Un ‘a tu per tu’ con chi ha ancora tante carte da giocarsi.
E’ uscito da poco il singolo One Sky, in collaborazione con il chitarrista Al Di Meola. Quali riscontri hai già in termini di impatto con il pubblico?
Sono molto contento dei risultati che sta avendo, c’è una buona visibilità e il pezzo è gradito. Pensa che in due giorni ho avuto ascolti che superano di dieci volte i live di questi ultimi quattro anni. Un’altra cosa di cui sono orgoglione (ride) è il fatto che i maggiori ascolti li abbiamo negli Stati Uniti, Inghilterra e Germania. Direi che soprattutto in quest’anno in cui risultiamo gli italiani cretinetti possa considerarsi orgoglio nazionale. è una gratificazione personale un grande stimolo soprattutto nel riordinare alcuni brani per il nuovo album.
Com’è nata la collaborazione con il chitarrista Di Meola?
Nasce dalla mia ammirazione sincera. Negli anni 70 i chitarristi più seguiti e ammirati erano tre: Paco De Lucia, Al Di Meola e John MacLaughlin, prima della spallata di Jimi Hendrix che ha rivoluzionato un po’ il campo. Una sera durante una cena di compleanno dove erano presenti anche Zucchero e Gino Paoli, sai quei ritrovi come si facevano un tempo, molto conviviali, tra artisti?, ecco in quell’occasione era presente lì a cena al ristorante anche Al Di Meola.
Lo feci notare a Zucchero che mi disse: ‘dai chiamalo e andiamo a fare un blues!’. Così abbiamo improvvisato della musica insieme. Quando il mio produttore mi ha detto un giorno: ‘vuoi collaborare con Al Di Meola?’ in ricordo di quella esperienza non ho potuto che direi di sì!
One Sky, One world, One you era un progetto in embrione. Lu l’ha accolto con lungimiranza ed è diventato questo miscuglio che ha tracce di mediterraneo, di flamenco, di jazz. Non è una cosa facile riuscire a fondere questi generi, soprattutto non perdere la propria maniera di essere. Tra l’altro, One Sky è disponibile anche in una edizione in vinile 45 giri e sul lato B si trova una versione extended con un minuto in più di ascolto, ricco di altri assoli articolati e altri temi. Non posso che essere contento dei feedback e del risultato ottenuto.
Per quanto riguarda invece l’album di prossima uscita?
Il nuovo album uscirà i primi mesi del prossimo anno ed è un album di inediti. Non saranno tracce esclusivamente strumentali, vede anche la presenza di altre collaborazioni ma principalmente contiene canzoni che hanno un impatto preponderante riguardo la mia maniera di fare musica.
Tu hai collaborato con tanti artisti tra cui Zucchero, Vasco ma anche altri chitarristi come Tommy Emmanuel. Al di là dell’aspetto artistico e commerciale cosa ti hanno lasciato queste esperienze?
Diciamo che io accetto collaborazioni quando sono situazioni spontanee, come quella con Vasco ad esempio con il quale ho collaborato per 3 brani. Sono una persona normale, che fa della sua normalità un modo di comunicare. Mi piace stare a contatto con persone semplici, che incontro nella vita di tutti i giorni. Però non dimentico che l’artista è in qualche modo un essere diciamo speciale, che brilla di energia fuori dal comune. Stare a contatto con queste ‘star’ ti da la possibilità di approcciare in modo diverso alla vita, di assorbire energia per potenziarla, per migliorarla questa vita. E quello che imparo poi lo trasmetto durante i miei seminari.
Quindi se io ti chiedo: cosa sceglieresti tra formare un nuovo gruppo e insegnare? Devo dedurre che tu mi risponda…
Insegnare, ovvio! In merito ai gruppi, i giovani oggi hanno tanti mezzi a disposizione per cui la media di musicisti o artisti in generale è molto elevata. Quando sono nati i Pooh era diverso, era un altro periodo. Non è l’opzione che sceglierei oggi ma è quello che consiglio per costruire la propria carriera. I concetti di gruppo, di collaborazione ti portano ad una vicinanza nel rapporto umano. Quello è vincente nella musica. Se con i Pooh non fossimo riusciti a costruire questo rapporto, non ci sarebbe stato il gruppo unito e attivo per mezzo secolo!
Cosa pensi dei talent?
Diciamo che trovo un ottimo livello artistico, forse mi manca un po’ la punta di diamante. Mi mancano i Sordi, i Gassman, i Baglioni, gli stessi Pooh! C’è una sorta di appiattimento in alto ma il talent è una realtà che va di conseguenza a quello che è l’andamento mondiale. Il talent sostituisce il talent scout: prima era il manager che sceglieva te. Adesso è il pubblico che sceglie l’artista.
Dopo lo scioglimento dei Pooh, cosa è accaduto emotivamente a Dodi, alla persona e a quello che aveva intorno?
Ho accettato elegantemente, ma non sono stato un grande sostenitore di questa scelta. Però una scelta democratica va rispettata, abbracciata anche dalla minoranza. Dopo un primo momento di smarrimento, come spesso accade e la vita ci insegna, può nascondersi il risvolto positivo. Non mi ero mai scoperto artista ‘da solo’, un artista che ad esempio potesse reggere due ore di concerto senza poggiarsi a nessuno. Può capitare che sei sul palco e quella sera non sei al top, con il gruppo sei in qualche modo protetto, gli altri membri possono intervenire per darti sostegno. Se sei da solo è tutta un’altra cosa. Però mi faccio i complimenti da solo, visto che da quel momento non sono sceso sotto alla media di 60 concerti estivi e ho affrontato due tour invernali. Purtroppo il secondo tour l’ho dovuto interrompere per l’emergenza Covid-19, abbiamo dovuto annullare le repliche di Milano, Verona e Brescia tra l’altro tutte e tre sold out. Ma le scoperte soddisfacenti sono tante, una ad esempio viene dalle richieste del pubblico per brani da me non considerati in scaletta. Questo mi ha fatto riformulare la lista delle proposte, uscendo un po’ da quello che pensavo fosse uno schema, pensavo sai magari alle canzoni più conosciute dei Pooh! Invece il pubblico chiedeva altro ed è giusto accontentarlo, allo stesso tempo sperimenti anche tu nuove strade.
L’altra cosa bella è recente, di una settimana fa ed è forse un aspetto un po’ più psico-artistico. Ero a cena con un fan che è diventato mio amico, perché così succede dopo tanti anni, e mi ha mostrato il biglietto di uno degli eventi annullati. Io gli ho detto che poteva chiedere a me, gli avrei lasciato l’omaggio. Mi ha spiegato che ci teneva a comprarlo e che non chiederà nemmeno il rimborso perché lo vuole tenere per ricordo. Questa cosa mi ha colpito molto, anche se pensandoci io stesso ho in tasca un biglietto per lo spettacolo annullato di Eric Clapton e non ho nessuna intenzione di chiedere il rimborso. Ci sono sempre sorprese!
Ti manca il palco?
Gli artisti senza palco siamo bombe inesplose. Figurati poi se sei abituato ad una media di 100 concerti l’anno, dove ogni sera hai di fronte a te 5000 persone! Questa immobilità è devastante. Un mio amico dice che da questa storia si arricchiranno solamente gli psicologi. L’assenza di contatti umani provoca delle vere e proprie lacerazioni e noi artisti, diciamocelo, brilliamo quando l’energia è riflessa dal pubblico.