Caterina Misasi: “Quella volta sul set lapidata di confetti…”

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L'intervista OFF a Caterina Misasi
Ph. Mario Parruccini

La Calabria nel cuore e una lunga esperienza attoriale, partita a soli 21 anni in televisione. Poi è arrivato il debutto a teatro, nella pièce “Donne, velocità, pericolo” di e con Edoardo Sylos Labini, e di nuovo il piccolo schermo: dalla miniserie di Rai 1 “Walter Chiari- Fino all’ultima risata”, in cui interpreta l’indimenticata Lucia Bosè diretta da Enzo Monteleone, sino alle fiction. Al Cinema, per la regia di Francesca Olivieri, lo scorso anno l’attrice di origini cosentine Caterina Misasi ha recitato nel film “Arbëria”, che affronta il tema della minoranza albanese (arbëreshë) nel Parco nazionale del Pollino della regione calabra. Dal 17 settembre nelle sale, invece, è la protagonista della pellicola corale “Magari Resto” del filmmaker romano Mario Parruccini nel ruolo di Francesca. Il rapporto con la fede e la sua terra, quella volta in cui fu quasi lapidata sul set dai confetti che servivano per la scena finale di un matrimonio. Poi il Sud, che rinasce grazie alla cinematografia, e il tema del divario di genere all’interno dell’incantato mondo dello spettacolo nell’intervista di Misasi per Il Giornale Off.

In “Magari Resto” Francesca vive una vita perfetta ma qualcosa non va. Perché?

«Francesca, nel momento in cui si trova a prendere una decisione importante, è costretta a guardare dentro se stessa. Ciò la pone davanti ad una realtà che le fa cambiare punto di vista, mettendo in discussione tutte le sue certezze». 

La protagonista si affida alla religione. Lei che rapporto ha con la fede? 

«Un rapporto che considero sincero. La fede è un mistero che si sceglie di abbracciare. Anche il tema del film riguarda “la scelta”. Siamo noi che scegliamo se restare o partire, se vedere o non vedere, se credere o non credere». 

La pellicola è girata in Cilento, a Marina di Camerota. Crede che il Cinema italiano abbia finalmente deciso di far scoprire la bellezza dei luoghi paesaggistici sconosciuti ai più?

«Sì, abbiamo avuto la possibilità di girare in un luogo magico, uno splendido borgo marinaro. È stato bello avere come cornice uno dei posti più suggestivi d’Italia, circondati dalla sincera spontaneità dei suoi abitanti. Sembra proprio che il Cinema italiano stia riscoprendo i suoi tesori paesaggistici più incantevoli, in particolare cercandoli al Sud. Negli ultimi anni ho vissuto esperienze professionali che mi hanno portato a lavorare su meravigliosi set naturali come, ad esempio e soprattutto, nella mia amata Calabria della quale sono davvero orgogliosa». 

Ricorda un episodio off, ironico e divertente degli inizi della sua carriera?

«Durante le riprese di “Arbëria”, per la regia di Francesca Olivieri, nell’ultima scena alcune comparse avrebbero dovuto lanciare dei confetti in segno di festa per il matrimonio. Immagino che qualcosa sia andato storto perché, raggiunta la posizione finale, io e le mie colleghe siamo state investite da manciate di confetti che arrivavano dritte sul viso come pietre. Ho interrotto un piano sequenza di 12 minuti. Ero un po’ alterata, ma adesso se ci penso rido!». 

Cosentina, che legame ha con la tua terra d’origine?

«Amo la Calabria e ogni volta che ritorno mi sento a casa». 

Secondo lei, la Calabria è riuscita con le produzioni cinematografiche e i festival locali a ripulirsi da quell’immagine, spesso negativa, proveniente dalle tradizionali etichette che le hanno cucito addosso?

«I pregiudizi sono sempre duri a morire ma, a mio avviso, la Calabria sta facendo un ottimo lavoro rigenerandosi attraverso il cinema. Penso ad “Aspromonte – La terra degli ultimi” di Mimmo Calopresti e a “Padrenostro” di Claudio Noce».

Ha debuttato a teatro nel 2005 con “Donne, velocità, pericolo” di e con Edoardo Sylos Labini, partendo giovanissima dalla tv. Poi sono arrivati, tra gli altri impegni, la miniserie di Rai 1 “Walter Chiari-Fino all’ultima risata” con Alessio Boni nel 2012 e, lo scorso anno, Arbëria” al cinema. È difficile il passaggio dal palcoscenico al set?

«Ho iniziato in televisione come protagonista, avevo 21 anni. In seguito ho recitato nel mio primo spettacolo teatrale con Sylos Labini per approdare successivamente al cinema. Lavorare davanti ad una macchina da presa è molto impegnativo, anche se tanto stimolante. Posso dire che l’adrenalina del palco non ha prezzo per il rapporto umano che si crea con il pubblico. E tutto questo mi fa amare parecchio il teatro».

In Italia le donne che lavorano nello spettacolo lamentano spesso un divario di genere, pure per i compensi, inferiori rispetto a quelli degli uomini. È così?

«È una domanda complessa alla quale non so dare una risposta precisa. Sicuramente il ruolo della donna va tutelato in tutti gli ambiti professionali, sia per le mansioni che per il trattamento economico. Personalmente, non mi sono mai sentita discriminata ed è una grande fortuna». 

C’è un’attrice che guardava recitare da bambina e alla quale si ispira?

«Sì, Audrey Hepburn… ». 

Si può parlare di solidarietà femminile nello showbiz?

«Ci sono tante realtà che ultimamente creano unione tra le donne del grande schermo. Mi viene in mente “Mujeres nel Cinema”, un collettivo femminile che opera nel nostro settore e che fa dell’aggregazione di genere un punto di forza vincente». 

Qual è oggi il desiderio, non solo professionale, di Caterina?

«Godersi i suoi figli, pensare di più a se stessa e a quello che veramente la fa stare bene con un po’ di sano egoismo». (sorride, ndr)