Va di fretta Antonella Elia. Scortata dal suo press agent Gianluca Meola, è in partenza per l’avventura che la vede protagonista, insieme al compagno attore Pietro Delle Piane, nel programma di Canale 5 “Temptation Island”, in onda dal 2 luglio e condotto da Filippo Bisciglia. Solare e raggiante negli scatti d’autore di Azzurra Primavera, Antonella è pronta a fare ingelosire il suo passionale fidanzato calabrese in tivù. Mentre racconta le prime esperienze teatrali da attrice, gli anni di “Non è la Rai”, l’amore per l’arte e il privilegio di aver lavorato con i grandi nomi del piccolo schermo italiano.
Personaggio televisivo di successo ma anche attrice teatrale, non tutti lo sanno. Un ruolo che ricorda con piacere?
«Il ruolo che ho interpretato a teatro e amato di più è stato quello del musical “A Chorus Line”, circa 20 anni. Un’esperienza bellissima con “La Compagnia della Rancia”. Kristine, il mio personaggio, era fantastica: una ballerina-cantante stonata e la mia frase dell’assolo era “No cantare io non so, veramente proprio no, so che non ci riuscirò”. Ed è stato il leitmotiv della mia vita perché, anche se ho partecipato a “Tale e quale show”, continuo a non saper cantare bene a sufficienza. Amo il musical, purtroppo ho un“deficit” vocale che mi ha impedito di proseguire in questo tipo di carriera. Da bambina sognavo guardando Fred Astaire e Ginger Rogers».
Corrado, Raimondo Vianello e Mike Bongiorno: tre pilastri dello spettacolo con cui ha avuto il privilegio di lavorare. Cosa le hanno insegnato?
«Sono stati i miei maestri, il mio punto di riferimento. Mi hanno amato, protetto, accudito, consigliato. Corrado è stato il mio pigmalione, devo l’inizio della mia carriera, forse tutta, a lui. Raimondo è stato una spinta nella crescita professionale molto importante perché mi ha insegnato ad essere una spalla e sappiamo quanto sia importante per un comico averne una. Ecco, con Vianello ho imparato l’uso dell’autoironia sfrenata mentre Mike è stato il mio insegnante di umorismo involontario».
Che funzione ha avuto “Non è la Rai” nella sua professione?
«Non saprei misurare l’aspetto dell’arricchimento lavorativo. Ovviamente il programma di Gianni Boncompagni ha segnato una tappa essenziale nel mio mestiere, una trasmissione che ha coinvolto un’intera generazione in quegli anni. Ogni epoca ci regala ciò che in quel momento poteva essere proposto. Quindi assolutamente sì, “Non è la Rai” è stato uno step».
Un episodio off e divertente degli inizi della sua carriera?
«Durante il primo musical sfortunatissimo, un rifacimento mediocre de “La Bella e la Bestia” sulle musiche originali di Walt Disney, alla première al Teatro Olimpico di Roma venne il mio amatissimo Corrado. E veniva a vedermi ogni volta che debuttavo (ride, ndr.). Dopo 20 minuti dall’inizio dello spettacolo è cascata la scenografia. Per l’esattezza la Bestia era sul palco, io mi trovavo in quinta e si è chiuso il sipario. Riassestata la scena, abbiamo ricominciato lo show da capo. La mia prima più traumatica in assoluto, fra tracheite e faringite, senza considerare che cantavo anche male. Finito lo spettacolo, ho aspettato gli ospiti in camerino, da quel che ricordo c’erano pure Pippo Baudo e Lorella Cuccarini. Arrivò Corrado, mi guardò e scoppiò a ridermi in faccia, trasformando l’orrore in una risata a crepapelle».
È una persona autocritica.
«Mettersi in discussione è il modo migliore per capire gli altri. Mi sento un po’ filosofa oggi. Bisogna essere in grado di trattenerci, di riflettere su come siamo e agiamo. Si chiama maturità mentale. Tutti si criticano, ma è necessario saperlo fare perché rappresenta un fattore che deve farci sentire bene con noi stessi. Dunque sì all’autocritica ma senza massacrarsi da soli».
Pittrice in erba, cos’è l’arte per lei?
«Ho cominciato a dipingere circa 3 anni e mezzo fa. L’arte per me è portare la propria anima in una creazione materiale, visibile, che si stacca da te e resta nella dimensione umana. Quando dipingo, e sto studiando pittura caravaggesca anche se dopo il Covid non ho ancora ripreso le lezioni che frequento saltuariamente a causa del lavoro, amo molto ritrarre le opere antiche e riprodurne la copia esatta. Da un anno cerco di raffigurare il viso di una donna del Parmigianino. Mi piace tanto la pittura del passato mentre a casa, da sola, creo le mie cose. Avrò realizzato 4 o 5 quadri, non ho una produzione intensa, e ogni volta che qualcuno mi chiede di regalargliene uno rispondo che è impossibile perché dentro ci sono io. L’artista lascia parte di se stesso in un’opera, come accade nella musica, e dà valore all’essere umano attraverso la bellezza materializzata».
Un programma tutto suo?
«Direi che sono prontissima ma, in generale, non ne faccio una malattia. Ho le mie soddisfazioni e ho avuto la fortuna di vivere il sogno che avevo da adolescente. Sono stata a fianco dei grandi monumenti della televisione italiana, attraversando decenni del piccolo schermo e negli anni ho percepito il cambiamento e l’evoluzione dei gusti del pubblico. Ciò che mi interessa davvero è lavorare in modo onesto e comunque gratificante».