Leo Gullotta: “Noi italiani, nel Rinascimento, abbiamo reinventato l’Occidente”

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Leo Gullotta: "Noi italiani, nel Rinascimento, abbiamo reinventato l'Occidente"

Oggi Leo Gullotta compie 74 anni. Di lui ricordiamoil terrificante scherzo che nel lontano 1993 gli tese la troupe di Scherzi a Parte, quando lo mise faccia a faccia con una tigre poco rassicurante. Della partita fu la splendida Pamela Prati, complice di uno scherzo che fu tra i più celebri della trasmissione: di fronte al terrore di Gullotta, venne interrotto dopo pochissimi minuti.

Meno male! Oggi noi di OFF festeggiamo il grande attore proponendovi questa intervista del nostro Marco Lomonaco.

Leo Gullotta, 73 anni, catanese. Uomo di teatro, attore di cinema. Comico dai mille volti e doppiatore dalle mille e una voce. Oggi si racconta a OFF.

Leo, a Vieni da me, ospite di Caterina Balivo, si è definito una persona curiosa.
Ero un bambino curioso, sono un uomo curioso. Ho 73 anni, vengo da un Italia affamata, quella che si affacciava al boom economico. Sono nato in un quartiere problematico di Catania ma studiavo, curiosavo, cercavo di farmi un’idea delle cose: cercavo di capire.

Che cos’è la curiosità?
Il sapere. Da dove veniamo, cosa siamo, dove andiamo.

Quando ha capito che il teatro sarebbe stato l’amore della sua vita?
Era il 1961. Avevo 14 anni e mi sono trovavo al Teatro Stabile di Catania che stava per inaugurare la stagione con Pirandello. Per una serie di circostanze mi sono poco dopo ritrovato a lavorare tra grandi attori professionisti, noti e meno noti, ma con una grande tradizione di cultura. Crescendo lì ho imparato la mia professione; anzi, me l’hanno fatta imparare. Ero un giovane influenzato anche dalla frequentazione di uomini come Leonardo Sciascia e Giuseppe Fava.

Leo Gullotta: "Noi italiani, nel Rinascimento, abbiamo reinventato l'Occidente"

Molti attori oggi approdano al cinema senza più passare dal teatro. Come la vede?
Una motivazione è legata al voler apparire e basta. Purtroppo in Italia, anche con l’avvento dei social, conta sempre più l’apparenza e non l’essenza. Il teatro viene accantonato, non si sente la necessità di far appassionare i ragazzi; in altre parti del mondo il teatro italiano si studia a scuola e noi, ci dimentichiamo che nel Rinascimento abbiamo reinventato l’Occidente. A scuola queste cose si studiano sempre di meno: non basta portare la classe a vedere lo spettacolo a teatro. Bisogna educare alla cultura e noi negli ultimi trent’anni, anche grazie ai governanti, abbiamo schiaffeggiato la scuola e l’università sottraendo loro sempre più tempo, spazio e fondi. Rimane quindi l’apparenza ma, dietro, non c’è sostanza. Da questo deriva l’arte di arrangiarsi oggi predominante; tutti credono di sapere tutto ma non è così, è solo apparenza.

Ci racconti un episodio OFF della sua carriera, qualcosa che non ha mai detto a nessuno.
Nei primi anni della mia carriera a teatro stavo in mezzo ad attori importanti – come Turi Fero – che, spesso, capitava si facessero tra di loro degli scherzi in scena. Un giorno decisi, per imitazione, di volerne fare uno anch’io. In scena in quel periodo accadeva che gli attori bevessero un brodo in maniera concitata. Io prima che iniziasse lo spettacolo, riversai tre pacchi di sale nel pentolone del brodo e quando i miei colleghi in scena impazzirono io morii dalle risate perché non potevano uscire dalla parte ed erano obbligati a continuare a ingurgitare voracemente. Alla fine, fui smascherato, ricevetti una multa e poi in seguito mi venne tolta la parola. In quell’occasione, capii che ci vuole rispetto per i compagni di lavoro e che per fare certe cose bisogna potersele permettere. Da quel giorno il rispetto è stata la chiave di volta della mia carriera.