La Galleria Gracis ospita presso i suoi prestigiosi spazi espositivi le opere di straordinaria raffinatezza dell’artista eclettico e cangiante, Fausto Melotti (Rovereto 1901 – 1986).
Artista poliforme e di straordinaria intuizione poetica è annoverato tra i grandi protagonisti dell’arte del XX secolo.
Scultore, pittore, ceramista, poeta, ingegnere e musicista, l’artista trentino sviluppa uno stile che coniuga le diverse anime della sua formazione: dal periodo fiorentino, che pone l’artista a contatto con i maestri rinascimentali, alla frequentazione futurista e razionalista coronata con il trasferimento a Milano, nel 1928, alla scuola di Adolfo Wildt. Qui, a disagio per i limiti della scultura di rappresentanza, aderisce al clima avanguardistico del capoluogo lombardo con artisti e intellettuali come Fontana, Morandi, Sironi, De Chirico, Kandinsky, Joseph Albers.
Comune caratteristica di questo artista immenso è l’armonia asimmetrica compositiva, l’irregolarità plastica che modula le forme e modella la materia, i piani, gli spazi fino a diventare melodia, ritmo, testo poetico.
Fuoriesce un consapevole confronto-dialogo costruito tra musica e scultura, tra udibile invisibile, tra suono e immagine, tra composizione musicale e composizione plastica che trasforma la scultura in una perfetta sintesi tra spazio e tempo. Scultore dell’invisibile. Custode del mistero che non è al di là della presenza delle cose, ma tutto custodito da quella presenza, presente nella presenza come una trascendenza che ci spiazza e ci scuote. Tipica di chi coltiva la fede dello Streben: un inesauribile impulso ad andare oltre, a tendere ad un superamento, a porsi una meta sempre nuova, in cerca della bellezza, quella che ci innalza e ci rende leggeri.
Alla mostra sono esposti circa 30 lavori di straordinaria eleganza e bellezza che documentano uno dei periodi più fervidi della produzione dell’artista, e l’estrema poliedricità espressiva, oltre che tecnica e formale.
La sontuosità di una materia che pare cera liquefatta e poi, rappresa, traspare dalle figure femminili. L’eterea leggerezza di nove raffinatissime piccole coppe, plasmate su delicati contrasti di concavità e convessità, dove la materia gioca con la tonalità cromatica cangiante di colori freneticamente lavorati mediante sovrapposizioni, colature, smaltature sapienti giocate sulla trasparenza o sul riflesso di toni quasi metallici.
Infine, vasi, vere e proprie sculture di estrema eleganza formale, composti su volumi sintetici, quasi arcaici, dotati di una forte figuratività simbolica, arricchita da un trattamento deliberatamente pittorico che annulla i confini tra forma e superficie, tra scultura e pittura.
Una piccola sezione della mostra è dedicata all’opera tardiva di Melotti con composizioni eteree e potenti, quasi immateriali, costruite con fili dritti o ritorti di rame e di ottone che innervano lo spazio vuoto in un gesto che interrompe il silenzio, come L’inverno, composizione filiforme del 1982, o la straordinaria sintesi del Toro.
La produzione in ceramica rappresenta per Melotti uno straordinario terreno di sperimentazione e di evoluzione artistica, che si sviluppa a partire dal secondo dopoguerra fino ai primissimi anni Sessanta, ponendosi tra il geometrico astratto e purista degli anni Trenta e i filamenti leggeri delle opere in metallo degli anni Sessanta- Ottanta.