E se le vicende dell’Iliade e dell’Odissea non fossero ambientate nelle calde terre che si affacciano sul Mediterraneo, ma nelle fredde acque del Baltico e dei mari del Nord?
E’ questa la rivoluzionaria ipotesi lanciata da Felice Vinci oltre 25 anni fa e che sta acquisendo sempre più credito. Lunedì prossimo sarà discussa in un importante convegno, con tanto di lettura versi, che si terrà presso la Biblioteca Angelica di Roma.
L’incontro, che sarà aperto dai saluti introduttivi dell’on. Federico Mollicone, è promosso dalle associazioni Carnevale Romano e D.d’Arte e ha il patrocinio dell’intergruppo parlamentare Amici Repubbliche Baltiche guidato da Isabella Rauti.
Le tesi di Vinci partono dall’oggettiva considerazione che la geografia omerica ha sempre costituito un problema. L’orografia delle coste e le rotte di Ulisse, in particolare, sono descritte con estrema precisione, eppure è impossibile seguire le sue peregrinazioni nel Mediterraneo. Gli stessi filologi alessandrini disputarono lungamente sulla questione. L’intuizione del nostro autore proviene da Plutarco, che colloca l’isola della ninfa Calipso, Ogigia, “a cinque giorni di navigazione dalla Britannia verso Occidente”, ovvero nelle isole Far Oer. Da lì, seguendo Odisseo nei suoi viaggi, Vinci ha rilevato la congruità della geografia nordeuropea con le descrizioni omeriche e ha potuto sciogliere alcuni dubbi legati alle condizioni climatiche rappresentate nei due poemi. Così Troia si troverebbe in Finlandia, Micene nei pressi dell’attuale Copenaghen, Itaca coinciderebbe con l’isoletta danese di Lyo.
Ma come è stata possibile una simile trasposizione dal nord al sud dell’Europa? E’ nota l’origine indoeuropea degli antichi greci: secondo le ricerche di studiosi del calibro di Adriano Romualdi, o dell’indiano Tilak, proprio nei pressi del circolo polare artico andrebbe collocata la patria originaria degli indo-arii, che attraverso le formule poetiche mandate a memoria dagli aedi avrebbero poi ricollocato le gesta dei loro antenati nei luoghi in cui si insediarono al termine delle loro migrazioni. Insomma i poemi omerici sarebbero il frutto di materiali formulati in momenti diversi, mescolati tra loro dai bardi e cristallizzati nella versione scritta giunta sino a noi.
Una tesi, che unisce l’Europa alla ricerca della sua identità, collocandola in un passato mitico e comune, nel nome del padre della cultura europea e del Sole Iperboreo.