Francesco Salvi: “Con Jannacci e Abatantuono cambiò la mia vita”

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Non ha bisogno di presentazioni il grande Francesco Salvi: cabarettista, attore, comico, cantante e artista. Dopo una carriera ruggente oggi vive un periodo più tranquillo della sua vita in cui è tornato ai primi amori, come sempre artistici. Generoso nella vita come sul palco, l’attore 65enne si concede ad una lunga intervista OFF raccontandosi a 360 gradi.

Attore, comico, cantante, artista a tutto tondo… eclettico a dir poco e soprattutto itinerante, di tutte le città dove ha vissuto in quale ha lasciato il cuore?

In nessuna in particolare, e in tutte! Anche se il cuore io me lo tengo stretto, Luino è il posto dove sono nato e dove torno ogni volta che ho bisogno di riflettere. A Firenze ho studiato e a Roma poi mi sono trovato benissimo. A Milano invece ho vissuto un periodo estremamente produttivo tra teatro e televisione. Sono stato anche negli Stati Uniti dove ho lavorato con il premio oscar Robert Moresco, anche lì fu una grande esperienza.

E ha fatto anche il pittore.

Sono sempre stato multitasking appunto, ho sempre fatto tante cose e ho cominciato tra l’altro proprio come pittore. Durante il liceo ho fatto la scuola d’arte, mi sono iscritto a dei corsi e sono entrato nel giro delle mostre e delle esposizioni d’avanguardia. Ho continuato per un po’ a dipingere e poi però o lasciato per fare altre cose, non ho voluto sovrapporre i quadri con la comicità che in quel momento era ciò che di più volevo inseguire. Ho aspettato per anni un momento di tranquillità come questo e ho ripreso a esporre, da ormai un anno e mezzo, con il mio collega e ispiratore Mario Arlati. A proposito, la prossima mostra la faccio ad agosto presso la Galleria Contini.

Salvi, nella sua vita ne ha viste e vissute di tutti i colori. Ci vuole raccontare un episodio OFF della sua carriera, qualcosa che non ha veramente mai raccontato a nessuno?

Mi recai al Derby Club di Milano per fare un provino. Una volta entrato e mi trovai davanti un ragazzo alto, moro e riccio, con i baffi: era Diego Abatantuono. Feci allora questo provino e mi presero subito. Per un certo periodo lavorai lì ma non mi sentivo a mio agio come quando ero libero di fare come mi pareva sul palco. Un pomeriggio giocando a pallone con gli stessi amici del locale, tra cui Jannacci, Abatantuono e Porcaro, presi in pieno una buca correndo e mi feci parecchio male alla caviglia. Mi portarono a casa e mi misero la caviglia dentro un catino d’acqua fredda con il ghiaccio e io mi addormentai così. Mi svegliai giusto in tempo per andare al Derby ma avevo il piede blu, completamente insensibile. Mi vennero a prendere e mi portarono a farmi ingessare la gamba, poi andai in scena quella sera stessa e mi scusai con il pubblico perché non avrei potuto fare il mio solito spettacolo. Mi sedetti su uno sgabello da bar e iniziai ad improvvisare parlando con gli spettatori. Ebbi un successo straordinario e capii che non avrei più dovuto recitare cose preparate o scritte, ma che avrei dovuto parlare come quando ero al bar; da quella volta non smisi più. Grazie a quell’infortunio la mia carriera cambiò per sempre, quindi… non tutti i buchi vengono per nuocere insomma.

A proposito di episodi OFF, ci dica di più di quella famosa telefonata con Bob Dylan.

Ah ah, eh sì, Bobby. Lo chiamo Bobby, ma lui in realtà preferisce farsi chiamare Robert. Segue sempre i miei consigli, infatti è andato a ritirare il Premio Nobel sotto mio suggerimento. Pensa che adesso è a casa mia.

Ma chi, Dylan?

Naturalmente, quando vuole fare le sue cose me lo dice e io gli lascio la mia casa di Milano libera, così può andare a starci lui e stare tranquillo!

Cambiamo argomento: cosa pensa di questo stato confusionale in cui verte la politica italiana allo stato attuale?

Penso che la politica sia una cosa importante e soprattutto una cosa seria. Ora come ora direi solo che nel nostro paese basterebbe non mettere i bastoni tra le ruote a chi prova davvero a fare qualcosa.

Lei ha lavorato con tanti grandi registi e attori del secolo scorso. Uno su tutti il grande Paolo Villaggio con il quale ha girato quella scena diventata cult in Fracchia la Belva Umana. Che uomo era Paolo?

Paolo Villaggio è stato un genio, una persona di un intelligenza impressionante, un uomo di grande cultura e di grande cattiveria, nell’umorismo si intende ovviamente. Ha inventato un genere ed è l’unico che è stato capace di fare due personaggi identici, Fracchia e Fantozzi, diversificati praticamente solo dal nome. Paolo si è reso portavoce scanzonato di una generazione, è entrato nei cuori degli italiani e anche nel nostro vocabolario quotidiano, si pensi solo alla Corazzata Potemkin

È una cagata pazzesca!

Esattamente, ma nonostante questa sua comicità era un uomo di grandiosa serietà, puntuale e preciso. Anche nella vita reale quando decideva di entrare nel personaggio cominciava a parlare ai camerieri al ristorante come se fosse il ragionier Fantozzi: «Ehi lei venghi qui!». Detto questo, Paolo era anche un uomo di parola: agli inizi della mia mia carriera ne ho incontrati tanti che mi hanno fatto promesse a vuoto, mentre Paolo, che mi conobbe ad una concorso per cabarettisti, mi disse che mi avrebbe dato spazio in un suo film. E così fu, da questo in pratica nasce la nostra collaborazione e le famose scene di Neuro e Fracchia.

Progetti futuri, ci svela qualcosa?

A fine giugno sarò al Festival Jazz Ascona con la mia orchestra. Porteremo uno spettacolo di swing jazz intitolato “Quando eravamo forti, quando eravamo grandi”. Parleremo di quando gli italiani, intorno agli anni 50 erano i numeri uno in tutto, nella musica, nel cinema etc. Racconteremo i grandi italiani d’esportazione anche, coloro che sono andati oltreoceano a cercare fortuna e dei quali poi anche i figli sono diventati ottimi registi, attori, cantanti e chi più ne ha più ne metta. Eravamo forti e siamo ancora i più forti, questa dura situazione economica ce lo fa solo scordare. Non dobbiamo dimenticarcelo mai e io con il mio spettacolo proverò a ricordarlo a tutti!