I dieci punti del “manifesto” di Ernesto Galli della Loggia

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1) Sentirsi (e magari anche dirsi) culturalmente cristiano. Per ridare senso alla politica c’è bisogno di un’ispirazione alta e forte che oggi però non può venire da dottrine e valori esclusivamente politici. La «democrazia benevola» che vogliamo non è quella né di Pericle né di Cicerone: deve ad essi cose anche importanti ma è nata qui in Occidente dallo spirito delle Sacre Scritture rese universali dal Cristianesimo. E alla fine, come ha ben detto Massimo Cacciari, solo il Cristianesimo può tenere a bada i demoni della scienza, dell’economia e della tecnica riuniti assieme che incombono sul nostro futuro; e in generale, direi, anche quelli di ogni potere che si pretenda assoluto. Mi sembrano cose di una certa importanza.

2)Essere orientato alla modernità, ma non progressista. Progressismo è sinonimo di un ottimismo sempre alquanto ridicolo, di questi tempi poi decisamente ingiustificabile. Disfarsi disinvoltamente del passato per principio, come è tipico del progressismo di massa da tempo in voga, testimonia solo di una micidiale superficialità.

3) Essere un partito italiano. Il che significa rifiutare ogni autoreferenzialità nazionalistica ma, per dirne un paio, sentire come cosa propria il patrimonio storico-culturale della Penisola (non lasciando che l’istruzione vada a ramengo e che accadano altre empietà consimili), ovvero fare politica cercando di avere (e di comunicare) un’idea del passato del Paese e del suo futuro. Significa soprattutto avere in mente che nell’arena europea e mondiale l’interesse della sovranità italiana non sempre coincide con quelli altrui: e che per difenderlo si può anche alzare la voce. Non è scritto da nessuna parte che a farlo debba essere solo la Destra.

4)Essere orientato in senso comunitario, multietnico e internazionalista ma non già multiculturale e cosmopolita. Per stare insieme una società ha bisogno di un legame più forte e profondo della Costituzione e delle leggi (che servono ma non bastano). Ha bisogno di sentirsi una comunità caratterizzata da una storia e da una cultura. Solo in una comunità siffatta chi è di un’etnia diversa o viene da un’altra cultura può davvero integrarsi: no di certo in una compagine multiculturale. D’altra parte, mentre internazionalismo vuol dire solidarietà, vuol dire ideali e cause condivise con altri individui e popoli, il cosmopolitismo, invece, è quasi sempre solo la versione supponente di un individualismo privo d’identità. Non a caso la Croce Rossa e il Primo Maggio continuano ad essere dovunque più popolari dell’Onu.

5)Dichiararsi a favore di una «patrimoniale». Non soltanto è il modo più semplice per far capire da che parte si sta quando si tratta di economia, ma a un partito di sinistra le risorse così ottenute potrebbero servire per due impieghi importanti: a usarne la metà per ridurre sia pure di poco il debito del Paese (dando così un segnale importantissimo ai «mercati» e facendosi altresì carico di un compito nazionale decisivo quale l’inizio della liberazione del Paese dal cappio finanziario), e l’altra metà usarla, invece, per un grande progetto sociale a favore dei ceti più disagiati: ad esempio per un piano nazionale di risanamento e ristrutturazione delle principali periferie urbane.

Lo so che è una misura che provoca in tanti un moto di rivolta: ma come ci si può rassegnare al fatto che chi in Italia detiene grandi quote di ricchezza si sottragga sempre in un modo o nell’altro all’obbligo dell’equità fiscale? Se lo si ritiene utile al Paese (personalmente è per questo che io sono disposto a dire sì a tale misura) un partito che si rispetti deve avere il coraggio di sfidare l’impopolarità.

6) Non temere di difendere con forza certi valori etico-culturali. In politica contano non solo gli interessi e i diritti, contano anche gli ideali e i sentimenti: e forse sempre più conteranno nei domani che ci aspettano. Un partito, specialmente se di sinistra, non può essere un partito solo di gestione, deve essere anche il portatore di una speranza e di qualche forma di rinnovamento forte. Ad esempio i tempi sono maturi, io credo, per un partito che riprendendo un filone sotterraneo cha va da Mazzini a Simone Weil, metta all’ordine del giorno una tematica dei doveri e del «limite» contro l’ideologia del menefreghismo edonistico e del «tanto non faccio male a nessuno», nonché contro la pratica orgiastica del futile e del superfluo. Nel fondo dell’animo la gente desidera vivere per qualcosa di più e di meglio che una vacanza alle Maldive o fare sesso nell’auto ultimo modello.

7)Proporre l’introduzione del servizio civile a 18 anni per tutti i ragazzi e le ragazze. Compiti: manutenzione del territorio (pulizia spiagge, greti dei corsi d’acqua ecc.), attività di protezione civile, assistenza a disabili, servizi di ambulanza, ecc. Tra ludopatia, alcool, impasticcamento e disgregazione familiare la gioventù italiana si sta perdendo: una svolta nel Paese dovrebbe cominciare anche da qui.

8) Per quel che riguarda la politica estera, invece, entrare nell’idea che in linea di massima a noi italiani conviene essere sempre diffidenti della Russia, con gli occhi ben aperti verso la Germania, emuli della Francia, legati alla Grecia e alla Spagna, nutrire simpatia per la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Da soli possiamo poco, ma siamo necessari a molti per fare cose importanti.

9) Essere un partito europeista ma nel modo che attualmente è urgente e necessario: cioè proponendo che per arrestare la valanga migratoria che altrimenti ci sommergerà, almeno metà dell’intero bilancio dell’Unione sia devoluto ad un programma di assistenza e sviluppo dell’Africa subsahariana. Oggi il massimo interesse dell’Europa non è la crescita del reddito del Crotonese o della Bucovina, è lo sviluppo economico del Gambia e del Congo.

10)Prendere l’iniziativa per qualcuna, o magari tutte, delle seguenti misure: a) abolire il bicameralismo e il Cnel (è il caso di riprovarci); b) regolamentare lo sciopero nei servizi pubblici; c) reintrodurre il finanziamento pubblico dei partiti in misura adeguata ma in forme rigidamente controllate; d) separare le carriere dei magistrati; e) eliminare la presenza di rappresentanti designati dai sindacati in tutte le sedi direttive, amministrative e/o gestionali di qualunque ente, istituzione o organismo pubblico o azienda a partecipazione pubblica; f) sottrarre a tutti i Comuni dichiarati soggetti a pericolo d’infiltrazione criminale la gestione degli appalti superiori ai 50 mila euro e affidarli alle prefetture.

Non so — e in fin dei conti m’interessa assai poco — se i suggerimenti fin qui dati possono essere considerati di sinistra. Almeno storicamente alcuni di essi di certo non lo sono. Di una cosa però mi sembra di essere sicuro: che oggi — come del resto forse sempre — per essere di sinistra non bisogna essere solo di sinistra.

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