Livia Pomodoro : “Guidare il teatro No’hma nel nome di mia sorella Teresa”

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Pomodoro-Livia-foto-OlycomLivia Pomodoro racconta con passione la storia del suo incarico di Presidente dell’Accademia di Brera a Milano così come l’impegno nel guidare il Teatro No’hma, creato e voluto da sua sorella Teresa che, scomparsa nel 2008, ha lasciato un vuoto umano, artistico e professionale grandissimo nel capoluogo meneghino.

Gli occhi di Livia, ogniqualvolta si parla del Teatro No’hma, s’illuminano di una luce speciale, quella dell’amore e della devozione verso quella sorella, prematuramente scomparsa, che sempre l’ha fatta sognare e che ancor oggi le manca.

La storia tua e di tua sorella Teresa si fonde in No’hma?

Mia sorella ha lasciato dentro di me un vuoto ed un dolore immenso che io, quotidianamente cerco di colmare o di sedare dirigendo il Teatro che lei ha voluto costruire. La prima volta che vidi questo spazio assieme a lei mi disse che sarebbe diventato un meraviglioso teatro: io la considerai pazza e visionaria. Come poteva nascere un teatro da uno spazio dedicato alla gestione dell’acqua potabile e dismesso ed abbandonato?

Ed invece?

Teresa aveva visto, entrando in questo spazio, una rosa fiorita….Mia sorella era capace di vedere ciò che io non riuscivo; è sempre stata un’artista profetica.

Eravate molto diverse?

Sì. Lei creativa e sognatrice io raziocinante. Mi sono sempre considerata “l’encefalogramma piatto della famiglia” ed anche quando lei si era ammalata scherzavamo su questo lato del mio carattere sempre orientato alla concretezza ed al realismo.

Alla fine però dirigi con successo questa “visione” culturale di Teresa, un teatro dove non si paga il biglietto per entrare?

Credo sia stato l’ultimo vero dono che Teresa mi ha fatto, e la sua presenza quotidiana dentro di me è quella che consente al Teatro di andare avanti. Diciamo che a quasi dieci anni dalla sua scomparsa Teresa è ancora “regista” e “anima” di questo spazio.

Quando cominciasti a lavorare in Tribunale?

Nel 1966 a Milano, negli anni della contestazione; ero ospite di una amica di famiglia e presi a lavorare subito nel gruppo di Adolfo Beria d’Argentine e Luigi Bianchi d’Espinosa, due grandi protagonisti della storia giudiziaria di questo Paese.

Cosa pensi del ’68?

Ogni giovane deve fare una esperienza di rottura che tenda alla libertà, è un fatto naturale.

Purtroppo però quando la spinta ideale al rinnovamento diventa, come accadde in quegli anni, fanatismo e ideologia, si è spezzato l’incantesimo.

Ti consideri una donna di potere?

Il potere ha due facce: una è quella della prevaricazione e dell’oppressione, l’altra quella della ricerca e del consolidamento del “bene comune”. Io mi sono sempre ispirata a quest’ultima faccia ed anche ora che non gestisco “potere istituzionale” mi sforzo di essere testimone del mio tempo con onestà intellettuale e spirito di servizio.