Michela Murgia: “Grazia Deledda, una vera rivoluzionaria”

0

il giornale offUnica donna italiana ad aver vinto un Premio Nobel per la Letteratura, la prima ad essere candidata al Parlamento, eppure, a oltre ottant’anni dalla sua morte, Grazia Deledda è ancora lontana dal ricevere il riconoscimento che le spetta. Da sempre trascurata, l’autrice nuorese non è mai stata compresa e apprezzata, né dai suoi conterranei né dal resto del continente.

Per questo motivo, Marcello Fois ha deciso di scrivere “Quasi Grazia”, un “romanzo in forma di teatro” (Einaudi, 2016), e di portarlo in scena in tutta Italia per ripercorrere in tre atti, tre momenti cardine della vita di Deledda – la partenza da Nuoro verso Roma nel 1900, l’attesa per la prestigiosa premiazione nel 1927 e la scoperta della malattia nel 1935 –, per rendere giustizia a una scrittrice dimenticata e ridare corpo a una donna ribelle, pioniera, troppo moderna per il suo tempo.

Ad interpretarla un’attrice d’eccezione, la scrittrice sarda Michela Murgia, che abbiamo intervistato in occasione dell’imminente debutto a Nuoro, il 27 e 28 settembre al Teatro Eliseo.
 
Quando è nata l’idea di portare in scena “Quasi Grazia”?

Marcello Fois voleva restituire spessore a Grazia Deledda, perché dopo tanti anni, con la vittoria di un Premio Nobel, si diventa icone e i contemporanei non ti percepiscono più come qualcuno capace di poter raccontare qualcosa al presente. Quindi, ha deciso di scrivere questa pièce teatrale, in occasione dell’anniversario degli ottant’anni dalla sua morte, dicendomi: «Se la mettiamo in scena, vorrei che Grazia Deledda la facessi tu». Era un’idea talmente folle che aveva senso, e ho accettato.

Nel suo blog, infatti, ha dichiarato: «È tutta colpa di Marcello Fois!»

Esatto [ride, ndr]. Poi, non bisogna dimenticare il legame di Marcello con Nuoro (suo paese natale), a cui si aggiunge l’idea di contemporaneità che ruota intorno a Grazia Deledda. Lei non è mai stata capita, né dalla società sarda né da quella italiana in generale, ma è una figura particolarmente adeguata per i tempi in cui viviamo. Si pensi al matrimonio con Palmiro Madesani, che ha delle caratteristiche modernissime, ma che allora apparivano strane. Lui infatti veniva deriso perché considerato succube della moglie, tanto che Luigi Pirandello lo soprannominò “Grazio Deleddo”.

Personalmente, che cosa l’ha spinta ad accettare la parte?

Ciò che mi spinge è una volontà politica. Il mio intento è mettere in scena una donna che con determinazione è riuscita a vincere, tra fine ‘800 e primi del ‘900, in un contesto fortemente penalizzante che non l’ha mai accettata. Lei non è mai stata una militante, ma sono state sufficienti le sue idee per rappresentare un’idea rivoluzionaria…

Eppure, Grazia Deledda si definiva antifemminista.

Come sempre non sono i nomi che determinano le cose ma le azioni. E Grazia Deledda è stata molto più femminista di tante altre che lo rivendicano a gran voce.

Lo spettacolo però non vuole solo ripercorrere tre episodi cruciali della vita di Deledda…

No, non è una biografia. Si tratta di tre momenti intimi ma particolarmente significativi dal punto di vista sociale e politico. Il primo atto mette in scena il conflitto tra mondo antico e mondo nuovo, incarnati rispettivamente dalla madre di Grazia [interpretata da Lia Careddu, ndr] e da Grazia stessa; ma anche un nuovo modo di essere donna, di essere sardi e intellettuali. Il secondo atto è il momento del trionfo, dove si vede maggiormente la fragilità di una donna che ha raggiunto i massimi livelli del proprio mestiere, all’interno di un contesto che, in quanto donna, non riconosce il suo valore. Infine, il terzo atto è quello dell’annuncio della morte imminente di Grazia. E lì si vede proprio il rapporto paritario tra Grazia e Palmiro [interpretato da Marco Brinzi, ndr], una storia poco raccontata sempre a causa degli stereotipi che vogliono l’uomo dominante e la donna dominata.

Per lei si tratta della sua prima prova nelle vesti di attrice. Come si è preparata a questo ruolo?

Innanzitutto, non essendo il mio mestiere, la cosa migliore è stata circondarmi di persone competenti. Ho avuto la fortuna di lavorare con tre attori straordinari, Lia Careddu, Valentino Mannias, Marco Brinzi, e una regista, Veronica Cruciani, particolarmente nota per la cura con cui prepara gli attori. Naturalmente, per me, questa è solo un’incursione in un ambito che non è il mio, e probabilmente rimarrà anche l’unica. È un progetto particolare, io interpreto Grazia Deledda ma in un certo senso sono anche me stessa: Veronica e Marcello hanno inserito delle ambiguità nella drammaturgia che rendono difficile capire quando è Grazia a parlare e quando è Michela. Del resto, non è un caso che abbiano scelto me come scrittrice sarda contemporanea, in quanto la mia presenza ha un valore anche scenico.

Sempre nel blog ha parlato di «Questa cosa tremenda chiamata prove». Qual è stata la difficoltà maggiore che ha riscontrato nell’abbracciare la recitazione?

Lavorare con il corpo: io sono una donna “di parola”, tendo sempre a trasformare i miei pensieri in qualcosa di leggibile, ma sul palcoscenico non è così. Ciò che si dice deve passare dal corpo e la parte più difficile per me è stata abituarmi a misurare il gesto, ad esprimermi attraverso la corporeità.

Ci racconta un episodio OFF avvenuto durante le prove?

Tra i tanti esercizi di training che ho eseguito, uno in particolar modo è stato molto difficile: consisteva nel chiudere gli occhi e dare la mano ad un compagno, che invece aveva gli occhi aperti, e seguire le sue indicazioni, senza usare la parola. Bisognava, insomma, lasciarsi guidare dalla sua volontà. Inizialmente sembrava un gioco facile, ma poco dopo mi sono paralizzata, non riuscivo più a muovermi. La regista mi ha spiegato che in scena siamo tutti ciechi ed è molto importante fidarsi l’uno dell’altro, ma evidentemente all’inizio non mi fidavo. Alla fine delle prove, ho rifatto quell’esercizio ed è stato molto bello accorgermi che avevo acquisito quella fiducia.

A proposito di fiducia, tra Grazia Deledda e Palmiro Madesani vi era una relazione non solo paritaria ma anche di grande complicità e reciproco affidamento. Come avete costruito il rapporto in scena tra lei e Marco Brinzi?

Marco è un grande professionista. Devo molto a lui, così come agli altri miei compagni che mi hanno aiutato a diventare la Grazia Deledda che dovevo essere. Inoltre, io e Marco siamo molto amici, e questo inizialmente ha creato qualche problema, ma grazie ad una serie di esercizi, e all’intervento della regista, abbiamo messo da parte la nostra amicizia cameratesca per portare in scena Palmiro e Grazia come marito e moglie.

Nel secondo atto di “Quasi Grazia”, attraverso le parole della scrittrice, Fois afferma: «Lo scrittore è uno specchio. Riflette e ti mette davanti a quello che sei, senza sconti». Condivide queste parole?

Assolutamente sì. Come dice Fois, sempre per bocca di Grazia, spesso si confonde lo scrittore con il cerimoniere. Ne è un esempio lo scrittore Enrico Costa, che si distingueva per una bellissima scrittura volta però a compiacere il lettore. A me, invece, non interessa accontentare gli altri, e in questo senso la pièce teatrale è un lavoro politico. Perché il rischio che l’intellettuale sia il decoro del regime è sempre presente e attuale.

Nello stesso atto, Fois racconta l’ansia di Grazia Deledda prima della cerimonia di premiazione. Lei invece come sta vivendo l’attesa per il debutto in scena?

Non ho nessuna ansia. Sono circondata da persone capaci e competenti, e dunque sono molto tranquilla. Abbiamo fatto un buon lavoro, anche con la produzione [Sardegna Teatro, ndr] e non ho alcuna preoccupazione. A differenza di Grazia Deledda, che era una persona piuttosto schiva, io sono abituata a confrontarmi e a mettermi alla prova, dunque non ho nessuna paura.

Dopo Nuoro sono previste tre date a Cagliari (20, 21 e 22 ottobre al Teatro Massimo). Ci saranno altre tappe?

Sì, c’è una tournée italiana: andremo a Firenze il 3 e 4 novembre (al Teatro Puccini), a Novellara il 12 gennaio (Teatro Franco Tagliavini), a Roma il 30 gennaio e il 4 febbraio (al Teatro India) e poi in molte altre città. Lo spettacolo sarà in scena per almeno due stagioni, e spero che verranno a vederlo in tanti.