Parole in musica per una critica irriverente alla figura contemporanea dell’artista. Il cantautore romano Lorenzo Lambiase (in arte Lambiase), classe 1981, tra le note non le manda di certo a dire e con l’ultimo album “Radical Shit!”,distribuito dallo scorso 28 aprile da Goodfellas, lancia il suo “J’accuse” alla società delle apparenze, in cui per essere originali si è disposti a tutto. Dopo “La Cena”, album di esordio del 2009, e “Lupi e Vergini” del 2012 (etichetta Modern Life), “Radical Shit!”mescola in un sound coinvolgente la tradizionale arte cantautorale al rock alternativo sperimentale. Il singolo “A cosa stai pensando?” è un’analisi sul mondo dei social network raccontato anche in un video con l’intento di interpretare la realtà di Facebook e Instagram, spesso portatori (mal)sani di notizie frivole e futili. O fake. Nell’album anche la cover di “Semoforo rosso”, brano di Ornella Vanoni con Vinicius de Moraes e Toquinho, in duetto con Chiara Vidonis. Sabato 16 settembre, Lambiase sarà in concerto a “ ‘Na cosetta ”, locale in zona Pigneto a Roma, per un live elettrico con la band in formazione completa e che vede, accanto alla voce e al basso del cantautore, Daniele De Seta (chitarra e voce), Mattia Candeloro (chitarra e sinth) e Francesco Pradella (batteria). A OFF Lambiase, che ha condiviso il palco con artisti come Niccolò Fabi, Riccardo Sinigallia, Tiromancino, Marta Sui Tubi, parla degli inizi e svela un singolare aneddoto del debutto della sua carriera da musicista.
Partiamo dalle origini. Passione per la musica e vocazione cantautorale. Quali sono i tuoi modelli di riferimento?
Sinceramente tutto era partito in maniera molto diversa. Il mio primo approccio da ragazzino fu con l’elettronica e l’hip hop. Avrei potuto essere un rapper! In realtà,come si dice? Da giovani “appiccia fuochi”, da grandi “pompieri”.Oggi adoro il gusto musicale nordeuropeo e la poetica tutta italiana dei vecchi cantautori.
Ci sveli un episodio OFF, un aneddoto particolare e insolito che riguarda gli inizi del tuo percorso artistico?
Una volta suonai a Testaccio. Pezzi miei del primo album e “Impressioni di Settembre” della PFM. Dopo il concerto fui fermato da un tizio che diceva di amarmi (artisticamente) e che lavorava per un’etichetta importante di cui non faccio il nome. Mi chiese i contatti, ma per come era vestito e dall’aspetto che aveva decisi di non dargli troppa importanza. A dire la verità lo scambiai per un barbone. E invece mi sbagliavo. Era uno degli ultimi e importanti talent scout che giravano ancora all’epoca. Persi la mia occasione…
Quando componi, prima il testo e poi la musica o il tutto è un mix caotico senza un ordine preciso?
C’è stata un’inversione stilistica pazzesca. Il primo e metà del secondo disco furono composti iniziando dalla musica. Canticchiavo sopra un Inglese senza senso e alla fine arrivavano le parole. Ma era penoso scrivere così. Ero troppo legato a modelli inglesi e non riuscivo ad esprimere molto con i testi. Metà del secondo disco (Lupi e Vergini) e tutto il terzo furono ribaltati. Prima i testi, liberi da schemi e metrica. Poi musica.
Cosa pensi dello scenario musicale indie in Italia?Troppo di nicchia e poco sponsorizzato?
Troppo di nicchia tutto quello che fa cultura ( alludo ad artisti come Cesare Basile ad esempio). Il mainstream è diventato dominio dell’intrattenimento. Non c’è niente di male. La gente non vuole pensare, l’ascoltatore ha difficoltà a scendere in profondità. Preferiscono emozionarsi con testi d’amore alla “Baci Perugina” e seguire le band che confezionano musica per adolescenti brufolosi. Il mainstream è una sorta di enorme e complesso “versificatore universale” in stile orwelliano (1984). Parole confezionate e vendute ai supermercati. Un codice pop globalizzato in cui tutti vogliono riconoscersi.
E di Sanremo?Dopotutto il Festival è un’ottima vetrina, anche per gli emergenti…
Sanremo mi fa pensare a quando ero piccolo. Ciò vuol dire che nulla è cambiato. E purtroppo partecipa al processo finale di cultura pop globalizzata, nel senso che diventa l’amplificatore finale del processo di cui parlavo prima. È un format vecchio che ripropone i vecchi artisti. I giovani, (due su tre) vengono dai talent show o comunque dalla televisione. Non concede alcuno spazio agli “off”, ma ripeto, anche qui niente di male. Finché la gente chiede intrattenimento, radio e televisioni daranno intrattenimento. La cultura è un’altra cosa.
Talent show sì o no? Spesso i cantautori li considerano abbastanza “pop”…
Talent show sì e no. Nel senso che non ci sarebbe niente di male se venissero separati dal resto. Dovrebbe esserci una linea di confine marcata e netta. Non ammetto che i talent show, o gli “artisti” manipolati dalla tenaglia televisiva, vengano confusi o fatti passare per artisti o cantautori. No. Ognuno nel suo campo. Ripeto, chi fa intrattenimento deve accettare di aver preso una strada. La cultura si fa ai margini dello spettacolo, nelle periferie e nei quartieri balordi delle città. Si tramanda tramite pochi giornali, siti o radio che ancora resistono e con il passaparola, mezzo capace ancora di stupire la gente.
Un artista italiano con cui ti piacerebbe collaborare?
Non so… ultimamente non vorrei collaborare più con nessuno. Mi sono un po’ chiuso, ho difficoltà a condividere un progetto artistico con altri… Me lo tengo sempre in solitaria, di notte, tra una bottiglia e l’altra
Sogni nel cassetto e progetti discografici futuri?
Sogni nel cassetto? Per ora mi sono svegliato un attimo. Fumo una sigaretta e provo a riaddormentarmi. Se sogno qualcos’altro domani te lo dico! (ride)