Che Umberto Boccioni fosse uno scrittore maiuscolo è ignoto ai più. Il massimo scultore futurista, morto prematuramente per una rovinosa caduta da cavallo, si è guadagnato la
gloria postuma. Boccioni fu anche pittore e teorico, abile nell’alchimia di forme e colori quanto in quella delle parole. Perché siamo futuristi, edizione abbreviata di Pittura scultura futuriste (dinamismo plastico) (Historica, pp.114, € 14), che era più indicato per un pubblico di specialisti, è un piccolo capolavoro in prosa che la dice lunga sull’unico movimento avanguardistico italiano degno di esser definito tale.
Per Marinetti e compari l’uso smaliziato della lingua italiana era centrale. Boccioni contribuì in grande stile, come si legge chiaramente in queste pagine in cui la parola è “sfrontata, insolente e chiassosa” non meno dei contenuti di cui si fa portabandiera. Nel paese in cui la memoria storica è un imperativo da non trasgredire, soprattutto nelle arti visive, lo scultore eretico non esita a definire “necrofilo” chi considera l’Italia il paese dell’arte. “È molto più vicina all’arte la sala d’una casa di tolleranza, che certi salotti di case borghesi”, dichiara, anticipando forse involontariamente il volgare commercio che dell’arte s’è fatto, negli ultimi decenni, riempiendo i salotti danarosi di autentiche croste spacciate per poesia visiva.
Bravo Boccioni: un sobillatore dalla penna lesta e crudele, un virtuoso della metafora irriverente atta a scuotere le coscienze sonnecchianti per convertirle alla modernolatria, neologismo che sintetizza la preferenza del futurismo per il dinamismo plastico e la rappresentazione della sensazione, anziché dell’oggetto. Il tutto senza scomodare paroloni o tecnicismi.
Sfacciato, incurante della punteggiatura classica così come dei contenuti “borghesi”, Boccioni esalta la velocità, il pericolo, il moto, il gettare il passato alle ortiche proprio come si mettono in soffitta le cose ormai inutili. Il futuro gli apparteneva. Chissà cosa direbbe oggi, della tecnica che idolatrava, ora che sta narcotizzando le giovani generazioni, che gettano le avventure galanti nel cestino pur di restare attaccate al monitor. Ma questa è tutta un’altra storia: non c’è niente di male a essere smentiti dal lato oscuro dell’informatica, infatti di Boccioni ci restano solo cose buone. A partire da questo libro, che è adrenalina pura, in una prosa vitale e cruda che non affatica né annoia chi la legge.