Primogenito di Faber, venuto al mondo durante una tormenta di neve, presagio della tempesta di una vita di continue cadute e risalite, Cristiano De Andrè, cantautore polistrumentista, si racconta a OFF in un momento di pausa dal tour “De Andrè canta Dè Andrè”.
Con un cognome così preponderante viene da pensare che la tua carriera sia stata designata già dai primi anni di vita. In realtà, qual è stata la cometa che ti ha indicato la tua strada?
«Semplicemente la voglia di suonare: sin da piccolo sentivo che la musica mi apparteneva e mi aiutava a trasmettere emozioni, ho capito subito che non si trattava di un mero capriccio. Mi sono reso conto di aver scelto la carriera più difficile, anche perché il confronto con un genio come mio padre era sempre dietro l’angolo, ma con il passare del tempo, lavorando e soprattutto studiando, ho acquisito una mia maturità. Ormai non sento più quel “peso”, realizzo i miei dischi con i miei arrangiamenti e sono appagato nel vedere tanta gente che viene ai miei concerti».
Ci racconti un episodio OFF della tua carriera?
«Negli anni ’80, ventenne, ero in tour con i Tempi Duri: poche fermate prima di varcare il confine con la Germania dell’Est, con il bassista Carlo Facchini comprammo una pistola ad acqua. Durante il controllo di un gendarme tedesco, eravamo tutti seri ma Carlo continuava a spruzzare acqua. Successe un casino, ci fecero scendere dal pullman e rischiammo di tardare al concerto».
“Per vedere il passato basta guardare le stelle: stenditi qui che ti insegno come fare” ti sussurrava tuo padre. A distanza di anni ti sei sdraiato da solo e hai scandagliato il tuo passato. Cosa hai trovato?
«Quotidianamente, tutt’oggi, ogni sera mi sdraio e contemplo le stelle del cielo sardo. Ritrovo il mio passato con i miei genitori che non ci sono più, i bei momenti che purtroppo sono svaniti. Però non si tratta di una nostalgia dolorosa ma di un ricordo piacevole».
Terza edizione di De Andrè canta De Andrè. Il repertorio di tuo padre è inesauribile ma anche la tua creatività di polistrumentista. Cosa proponi in questo nuovo tour?
«In questo tour partito a marzo, do un mio vestito a dodici nuovi brani di mio padre, che saranno inseriti nel nuovo album live in uscita a Natale, affiancati ad altri contenuti nei due volumi precedenti di “De Andrè canta De Andrè”. E’ un progetto che porto avanti da tempo con la volontà di coinvolgere le nuove generazioni che per una questione anagrafica non conoscono mio padre, proponendo loro i suoi insegnamenti attraverso una rivisitazione delle sue poesie con sonorità world, più rockeggianti».
La guerra di Il testamento di Tito e La guerra di Piero combattuta con l’amore che sgorga da brani come Amore che vieni, amore che vai e La canzone dell’amore perduto pare essere il fil rouge dei tuoi live. Conflitti mondiali e guerre interiori vinti grazie all’alleanza con l’amore, dunque. Possiamo affermare che spesso è proprio questo sentimento a mantenerci in equilibrio in una straordinaria lotta quotidiana come la vita?
«Amore e guerra sono sempre stati i due temi storici della letteratura. Ultimamente, l’amore ha perso quella priorità che aveva nei libri, nella nostra vita, forse perché la gente si è abituata a vivere relazioni con dolore. Ma, in realtà, non è l’amore che fa soffrire bensì quel disamore mascherato da amore che ritroviamo nelle catene negative con cui ci leghiamo a persone sbagliate. L’amore vero è intelligenza liquida che ci rende capaci di allentare queste catene, individuare il compagno che sta con noi per un bisogno sano, e concedergli un pezzetto della nostra anima che dobbiamo imparare a risvegliare. Credo, quindi, sia proprio il caso di rifugiarci in sentimenti così puri per lottare contro i paradossi di un periodo come questo in cui i conflitti, da sempre cantati da mio padre schierato al fianco delle minoranze, sono continuamente in agguato. Ed, ancor peggio, è in atto l’infida guerra dei depistaggi in cui le persone buone agli occhi di tutti si rivelano le peggiori che cercano di attentare il nostro equilibrio».
Sul palco, durante i live, qual è il brano che fa riaffiorare le tue fragilità?
«Amico fragile, canzone autobiografica di mio padre che riflette sul vuoto provocato dalla fragilità dei rapporti umani, rappresenta in pieno la mia esistenza. Cantarla mi emoziona sempre come se fosse la prima volta: a dir la verità ultimamente non la sto proponendo ma in estate probabilmente la riporterò con me sui palchi d’Italia».
Sei noto anche, ma non solo, per essere “figlio di”. Quando hai superato quell’incapacità di essere figlio e genitore allo stesso tempo?
«Nel momento in cui ho preso più coscienza di me stesso, ho fatto due conti con la mia vita e ho imparato a perdonare. Tutti abbiamo alle spalle un trascorso più o meno tortuoso ma credo che il perdono sia la via giusta da intraprendere per vivere sereni».
Genova, Portobello di Gallura, Londra, Tempio Pausania, tanti i luoghi in cui hai vissuto…oltre ai vari giri per promuovere la tua musica. A proposito, ci anticipi dove sarai per le nuove date?
«Adesso mi concederò un breve periodo di pausa per poi riprendere con le date estive al Sud, tra cui Campania e Calabria, e successivamente risalire nelle grandi città del centro-nord sino alla mia cara Genova».
Se invece pensi al tuo futuro come e dove lo vedi?
«La città mi provoca un po’ di nausea, dunque preferisco stare a Portobello, nella casa che i miei hanno costruito nel lontano ’69. Come recita il canto popolare genovese “Ma se ghe penso”, a Genova si torna per posare le ossa, e lì, nella mia città natia, c’è una tomba di famiglia ad attendermi. Ma, nel frattempo, mi piacerebbe continuare a vivere rilassato in Sardegna curando il mio orto, concentrandomi nel mio studio, contemplando il mio mare».