Luca Filippi: “La balbuzie non è un ostacolo nella vita o sul set”

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IMG_3337La balbuzie, che lo riguarda come il personaggio che interpreta nel film Classe Z, per Luca Filippi non è mai stata un ostacolo, al contrario ha rappresentato un stimolo per poter raggiungere tutti i traguardi che si era prefissato. L’attore originario di Rovereto, lanciato lo scorso anno dal film Un nuovo giorno e che di recente abbiamo visto su Raiuno nella fiction Un passo dal cielo4, si racconta a OFF.

In questi giorni ti stiamo vedendo al cinema nel film Classe Z. Ci racconti il tuo personaggio?
Si chiama Julian Russo. Ha 18 anni, è silenzioso, introverso, misterioso. O almeno così lo descriverebbero gli altri ma per me lui è semplicemente un ragazzo pieno di vita, di passioni, bisognoso di stare con gli altri, di condividere umori, stati d’animo ed emozioni, anche se non ci riesce. Questo perché Julian è balbuziente e non riesce a esprimersi come tutti gli altri. Si sente inadeguato rispetto ai suoi coetanei, rispetto al sistema scolastico che vuole risposte pronte e subito e non può aspettare una persona che deve invece dosare ogni cosa che dice. Per questo fugge. Scappa dai compagni, dai professori che vogliono interrogarlo. Insomma scappa da se stesso. Il paradosso è che pratica Parkour, lo sport che più di tutti insegna a superare gli ostacoli che abbiamo di fronte. Ma questo ostacolo per Julian è ancora troppo grande.

Un aneddoto legato alle riprese del film?
Era l’ultimo giorno di riprese e Alessandro Preziosi stava ripassando una scena, mentre io non avevo nulla da preparare. È così, mi sono offerto di dargli una mano per coprire l’attrice che era impegnata al trucco. Mentre ripassavamo la parte, venne fuori la mia balbuzie e Alessandro, che non sapeva che ero balbuziente, pensava che lo stessi prendendo in giro. Più andavamo avanti e più notavo che si stava indispettendo un po’. A quel punto, gli confessai che io sono realmente balbuziente, e che non lo era soltanto il personaggio da me interpretato nel film.

E lui come ha reagito?
La sua faccia era incredula e dopo avermi osservato a lungo, ha capito che non stavo mentendo e mi ha riempito di scuse. Mi chiese perdono, perché pensava seriamente che lo stessi prendendo in giro.

Quale vorresti fosse il messaggio che, attraverso la visione di questo film, arrivasse al pubblico?
Mi piacerebbe che usciti dalla sala, sia i più giovani che gli adulti si impegnassero a non dare giudizi affrettati. Molte volte si giudica in base a preconcetti sociali, a stereotipi. Questo film insegna ad andare oltre: un ragazzo che non riesce a prendere un 6 in matematica, può essere un genio in storia dell’arte o un grande musicista. Non è uno scarto della società, ognuno deve trovare la propria strada e non è detto che la scuola fornisca tutte le vie possibili. Io, per esempio, faccio l’attore ma a scuola la recitazione non c’è come materia. Dovrei considerarmi uno meno intelligente di altri? No, perché penso che nel mio ambito so molto di più rispetto a chi magari era un asso in fisica e nelle scienze. E così tutti. Quindi leviamoci dalla testa l’idea che chi non è bravo a scuola non andrà da nessuna parte. Perché non è vero.

Luca Filippi con parte del cast di Classe Z
Luca Filippi con parte del cast di Classe Z

Lo scorso anno ti abbiamo visto nella pellicola Un nuovo giorno, in cui hai interpretato un uomo che decide di diventare donna: qual è stata la difficoltà maggiore che hai riscontrato nel costruire il ruolo?
È stato un film importante nel mio percorso artistico e umano. Era un ruolo così distante da me che ho dovuto studiare, informarmi, approfondire, avevo bisogno di informazioni per non fermarmi alla superfice. Così ho conosciuto l’iter che deve compiere una persona che si sente nata nel corpo sbagliato e che vuole cambiare sesso. Al mio fianco avevo la testimone vera di questa storia che è Sveva Cardinale, che ha interpretato se stessa nella parte finale del film. Sono partito da lei per costruire questo ragazzo, Giulio. Mi ha raccontato la sua vita, è stata molto generosa nel dirmi tutti i particolari nei minimi dettagli della sua trasformazione. O rinascita, come mi piace chiamarla. Perché per lei era diventata una questione di vita o di morte riuscire ad avere un corpo da donna in cui potersi specchiare, riconoscersi. Mi sono fatto coinvolgere da quel passato e ho preso quello che mi serviva per sfruttarlo poi in scena, sul set. Il lavoro è stato estenuante ma grazie al supporto di tutti, a partire dal regista che credeva in me, e a una grande troupe, siamo riusciti a raggiungere il nostro obiettivo.

Come nasce la tua passione per la recitazione?
La passione per la recitazione è nata durante le scuole superiori. In quarta superiore, non so in che modo o chi mi ha convinto, ma c’era da fare lo spettacolo di Grease. Mi hanno chiesto se volevo portare in scena la parte di Danny Zuko, che interpretò sul grande schermo John Travolta. E chissà perché accettai. Al tempo ero un divoratore di film. C’erano periodi in cui guardavo anche tre film al giorno. Ma non pensavo di voler fare l’attore. Ero ancora in un momento delle superiori in cui non sapevo quello che avrei fatto una volta finita la maturità. Quello spettacolo cambiò la mia vita. Sono sempre stato una persona timida, avevo i miei amici, ma non ero il tipico ragazzo che si riconosce a scuola, socialmente impegnato. Mi tenevo sulle mie. E l’emozione più bella è stata quella di poter parlare, comunicare con tantissime persone. E sentire che la comunicazione era corrisposta. Che il mio stare in quella situazione di performer aveva il suo perché. Stavo comunicando qualcosa. Anche solo il coraggio di mostrarmi davanti a loro, di mettermi in gioco, per la prima volta in vita mia. Questo il pubblico l’ha capito e mi ha sostenuto. La traccia da allora è rimasta viva.

Quando hai capito che la passione per la recitazione potesse trasformarsi in un lavoro?
Quando fai bene il tuo mestiere vuoi essere pagato. È normale. Io ho studiato cinque anni a Roma, ho frequentato due scuole di recitazione e tuttora non mi accontento, mi metto alla prova, studio, faccio capriole, mi metto in discussione, questo fa l’attore. E deve essere pagato per questo.

Quanto è difficile fare l’attore in Italia?
Non è una passeggiata, anzi è un vero casino. Siamo tanti, ci sono una marea di scuole di recitazione e non c’è spazio per tutti. Devi impegnarti come un ossesso, presentarti ai provini al massimo e devi anche avere una buona dose di fortuna.

Se non avessi fatto l’attore, quale strada avresti percorso?
Non lo so, probabilmente avrei viaggiato in giro per il mondo.

Progetti futuri?
Si continua a fare provini e casting. E si continua a lavorare su se stessi. Ho un progetto cinematografico che mi piace molto dove interpreto un Robot di ultima generazione: non posso dire molto ma la storia è una sorta di unione tra Amore Tossico di Claudio Caligari e una puntata di Black Mirror. Invece nella prossima stagione teatrale sarò impegnato a Parma, al Teatro Due, con La prigione, diretto da Raffaele Esposito.

Tra dieci anni, a livello professionale e privato, come ti piacerebbe vederti?
Mi piacerebbe avere una casa, comprata con i miei soldi e mi piacerebbe condividerla con qualcuno. A livello professionale mi piacerebbe lavorare tanto come attore in sfide sempre più grandi e magari guardare, con un filo di imbarazzo e nostalgia, Classe Z.