Certamente Safet Zec (Rogatica, 1943) è uno dei più affermati e noti artisti bosniaci e l’interprete più significativo del movimento chiamato “realismo poetico”. Pittore e incisore, da anni ha fatto dell’Italia la sua dimora per sfuggire alla guerra che ha tanto segnato il suo paese e la sua arte, stabilendosi a Venezia dove ha aperto il suo studio e dove nel 2010 ha inaugurato una grande personale al museo Correr. Nella laguna veneta ha trovato il luogo ideale per la maturazione artistica e per la guarigione dell’anima, riuscendo a liberare dalla memoria le “emozioni senza respiro di una guerra sconvolgente e atroce” e a fissare sulla tela i ricordi carichi di dolore.
Fino a settembre i suoi quadri e le sue incisioni sono esposti in una grande retrospettiva a Loreto (Safet Zec. Il pane della Misericordia, a cura di Giandomenico Romanelli e Vito Punzi) presso le Cantine del Bramante, a cui si aggiungono tre opere collocate all’interno della Basilica della Santa Casa, scelte per aiutare i pellegrini a vivere più intensamente il Giubileo. Un grande percorso narrativo fatto di immagini che raccontano il vissuto quotidiano: tavole apparecchiate, pane, sedie, letti, e ancora mani, abbracci, corpi, volti sofferenti. L’artista si sofferma sui dettagli, adopera mezzi poveri come la carta di giornale o le terre e predilige il “non-finito”: le sue tele sono volutamente incompiute, opere aperte in attesa della pienezza che solo la misericordia può donare. L’arte di Zec ci racconta di un’umanità che è piegata dal dolore e dal male ma che può riscattarsi e ritrovare la serenità e la forza del perdono. È questa la battaglia personale dell’artista in perfetta sintonia con i valori giubilari richiamati da papa Francesco.