Tirabassi: “In Italia troppi poveri scomodi”

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All’inizio era “Coatto unico”: parliamo di 20 anni fa, prima versione di uno spettacolo che si proponeva di raccontare i disagi della periferia romana. Poi lo spettacolo cresce, e i personaggi aumentano, si rinforzano, tutti accomunati da quella voglia di fuggire, crescere, migliorarsi. Più nel male che nel bene. Fuggendo dal destino, inseguendo la speranza. Ad idearlo e ad interpretarlo Giorgio Tirabassi, che ha dato spessore e valore ai reietti di oggi: da “Arcangelo”, truffatore fiscale di quartiere arrogante e strafottente, a  “Nello” e “Rufetto” due maldestri ed esilaranti rapinatori, dallo “Spacciatore Rap” alle prese con la crisi economica, ai due amici del bar che sognano una vacanza alle Seychelles. Lo spettacolo è cresciuto, ed è diventato più che maggiorenne. “Coatto unico senza intervallo”, versione riveduta, corretta e allargata di quell’iniziale sguardo sulla romanità, andato in scena al Teatro Sala Umberto di Roma lo scorso inverno. Un vero e proprio “one-man-show”, ottimo connubio tra musica, canto e recitazione, tanta ilarità, a volte amara, e riflessione. Abbiamo raggiunto Giorgio Tirabassi poco prima di entrare in scena e ci siamo concessi una chiacchierata: lui si presenta sempre così, straordinariamente naturale, ma al contempo molto profondo e professionale. Senza rinnegare quell’accento un po’ romano, che lo caratterizza come attore, ma soprattutto come uomo.

Venti anni di storia, da “Coatto unico” a Coatto unico senza intervallo”: ci sono state modifiche?

Ho iniziato a scrivere i primi pezzi nel 1995, è stato messo in scena nel 1997, poi ci ho rimesso le mani nel 2000. L’ho chiamato “senza intervallo” proprio perché non ho mai smesso di pensare a questo spettacolo, molto legato all’intrattenimento e alla musica, nonché al mio modo di trattare la romanità.

Uno spettacolo teatrale è sempre un percorso in itinere: cosa è cambiato in questo lungo periodo?

La differenza principale sono “io”: sono un uomo e un attore più maturo, con un rapporto diverso con il pubblico. Ho avuto così tanta popolarità da potermi permettere di essere autonomo, senza dover per forza sottostare alle leggi del mercato. Sono indipendente: quando voglio lo faccio, altrimenti no.

Ma in questi anni i tuoi personaggi sono cambiati?

No, perché le truffe agli enti statali continuano ad esserci, così come i rapinatori e le persone sfiduciate nei confronti delle istituzioni. E’ cambiata l’Italia, quello sì, dal berlusconismo al renzismo. Che preferisco, francamente. Però non sono un sociologo: l’intenzione non è quella di parlare del nostro Paese, non in questo spettacolo. Il mio spaccato di periferia è una metafora che coinvolge anche le problematiche in provincia.

Ai tempi del renzismo chi sono i “costretti”?

Sono quelli che convivono con i lavori a tempo determinato, o con quelle ditte di pulizie che impongono lavori da schiavi. Esiste un margine di povertà che fa paura, che è scomodo. Vengono quindi emarginati, come ai tempi del ghetto, o dei quartieri romani durante il Papato, i “quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi” (ndr, cita “La città vecchia” di Fabrizio De Andrè).

I tuoi personaggi parlano spesso del “Grande libro del destino”: tu ci credi?

Sì, perché ho uno spirito poetico. Ma sono anche molto razionale: come dice uno dei miei personaggi, il destino lo scriviamo noi stessi. Un po’ come l’apertura che puoi avere nei confronti della fede: rientra nel tipico dualismo da esseri umani.

La cosa più bella di questi personaggi è che vogliono cambiare: tu hai mai avuto questa esigenza?

Da ragazzo il mio più grande sogno era quello di fare l’attore. Poi speravo di poter vivere di questo lavoro. E poi ancora di costruirmi una casa, e di “campare una famiglia”. Pian piano ho realizzato tutti questi obiettivi, ma l’ho fatto in una maniera molto precisa, senza cercare delle scorciatoie, perché queste comportano dei compromessi. Forse ci metti di più, ma vivi meglio.

Erroneamente si dice che tu sia un figlio della televisione, ma la tua base è esclusivamente teatrale. Come vivi quest’altro tuo dualismo?

La popolarità televisiva mi ha aiutato e mi aiuta tuttora ad essere autonomo teatralmente. Probabilmente se avessi scelto solo la carriera teatrale, sarebbe stato tutto più difficile, perché oggi il cartellone ha bisogno di facce note che possano essere conosciute dai più. Negli ultimi 30 anni il pubblico si è deculturalizzato: i teatri sono vuoti, e il ruolo degli abbonati è fondamentale.

In questa tua “semilotta” col destino, c’è un obiettivo che ti prefiggi?

Guarda, io mi sto preparando alla terza età, tu non hai idea. Vorrei fare un personaggio sulla sedia a rotelle, ho una pigrizia da cui scappo e a cui cedo. Il “fuoco sacro” per il teatro l’ho avuto, ma ora sono più eccitato quando vado in un piccolo locale a suonare (ndr, è uscito “Romantica”, il primo album che vede l’attore in veste di musicista e interprete), o quando faccio un assolo sul palco. Sono cresciuto in teatro, ma mi sono anche un po’ stufato.

Non mi dire che vuoi andare in pensione.

Perché no? Avrei un sacco di tempo a disposizione. Quando non lavoro vado al cinema alle 15, e faccio proprio cose da terza età, come quelli che guardano i lavori negli scavi o che cercano pezzi di ricambio per elettrodomestici. Godere del piacere del tempo libero è un valore: io studio, suono, mi piace il cinema, prima giocavo anche a pallone. Non sono come quegli attori da “ho bisogno dell’odore del palcoscenico” o “mi manca il set”. Ma che sei scemo? Ma fatte ‘na vita!

1 commento

  1. Tirabassi: preferisci il renzismo, però hai a cuore coloro che “convivono con i lavori a tempo determinato, o con quelle ditte di pulizie che impongono lavori da schiavi”.
    Sei un GENIO! Non lo sai che queste categorie sono state definitivamente sancite da Renzi, che col suo Jobs Act ha definitivamente eliminato il lavoro a tempo indeterminato (anche se lui afferma in maniera folle il contrario) e aperto la strada alla nuova schiavitù? Non lo sai che è lui che ha deciso una volta per tutte di rendere gli italiani poveri, di trascinarci in una situazione da Sudamerica?
    Non mi sembri molto attento a quello che ti succede intorno…
    E poi, non lo sai che i teatri sono vuoti perchè la gente non ha più soldi?
    Non hai capito che con gli abbonamenti a prezzi ridicoli i teatri continueranno a chiudere?
    Mah!

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