Domenico Fisichella, fondatore di Alleanza Nazionale – abbandonata poi nel 2004 -, senatore, ministro dei Beni Culturali, professore ordinario di Dottrina dello Stato ha ristampato da poco il suo Totalitarismo. Un regime del nostro tempo (pp.344, Euro 19.50) per l’editore “Pagine” per cui cura anche la Collana “Biblioteca di Storia e Politica”.
Nel suo libro descrive le forme di governo e le caratteristiche che definiscono e distinguono una forma di governo autoritario e di uno totalitario. Esperienze limitate al ‘900 o, ritiene, possibili anche oggi nel mondo occidentale?
In Totalitarismo. Un regime del nostro tempo, appena uscito, scrivo che il totalitarismo è uno degli esiti possibili nell’età contemporanea, ma che è evitabile. Possibile per ragioni inerenti alla globalizzazione, alla disarticolazione e insieme massificazione delle personalità umane, all’attacco contro la famiglia, alla crisi dello Stato, tutte premesse necessarie e peraltro non sufficienti se politica e società recuperano un equilibrio. Ciò per quanto riguarda l’Occidente. Circa altre realtà è possibile che la Corea del Nord sia oggi un regime totalitario, che in Cina permangano residui di totalitarismo, con il suo partito unico onnipotente. Quanto ai regimi autoritari, ve ne sono molti in giro per il mondo.
Conoscere il “totalitarismo”, le sue dinamiche e le parole d’ordine significa quindi comprendere più facilmente le dinamiche politiche attuali?
Conoscere il totalitarismo significa, anzitutto, conoscere bene il passato. Per rimanere a casa nostra, il fascismo era totalitario o autoritario? Tale conoscenza esige la comparazione, come in tutte le scienze. Una bronchite non è una polmonite, un adenoma non è un carcinoma. Studiare vuol dire distinguere e selezionare. Nella storia passata, nella storia presente e nelle previsioni future. Altrimenti facciamo chiacchiere da bar.
La politica totalitaria informa momento ed ogni scelta nella vita pubblica e privata dei cittadini di uno Stato. L’Isis promuove all’interno del territorio che occupa, una politica che rispetta, a proprio dire, la “Legge di Dio”. Il fondamentalismo e la sua politica estera, il terrorismo, sono un’attualizzazione del totalitarismo?
Il fondamentalismo islamico presenta il problema della secolarizzazione. Tutti i regimi totalitari hanno ideologie secolaristiche. Certo, fa pensare l’attacco sistematico alla storia, la violenza terroristica, ma questi elementi lasciano ancora aperti vari interrogativi. Non c’è un partito unico di rivoluzione permanente, ad esempio, indispensabile perché si configuri la sindrome totalitaria.
Mussolini scriveva “il cinema è l’arma più forte” per la propaganda di Stato. In questi anni la comunicazione e la narrazione di un’idea è diventata ancor più centrale nel “dialogo” politico e nella gestione del potere.
I mezzi di comunicazione di massa sono oggi una possente arma di persuasione e di mobilitazione. Ma sono strumenti. Essenziale è l’uso che se ne fa. Un regime democratico cerca il consenso. Un regime autoritario cerca di conservare, usando insieme altri strumenti di “persuasione” anche forzosa, il potere politico. Un regime totalitario usa la propaganda come strumento bellico, per sradicare e distruggere l’intera società, con tutte le sue stratificazioni storiche (famiglie, religioni, costumi, aggregazioni economiche), per edificare un “ordine nuovo”: è perciò rivoluzione permanente, che in quanto tale distrugge ma non costruisce.
Totalitarismo e partecipazione, democrazia 2.0 e astensione?
Il totalitarismo implica la mobilitazione, cioè una modalità di intervento sul pubblico. La partecipazione è una modalità di intervento attivo e libero del pubblico nel processo politico. Concettualmente la distinzione è chiara, anche se talvolta si parla di mobilitazione (elettorale o altro) come stimolo alla partecipazione. La democrazia, se è tale, riconosce un ruolo alla partecipazione. Il totalitarismo con la mobilitazione mira ad altro.
Elezioni amministrative a Roma: il centrodestra si presenta diviso. Volontà di sconfitta?
Non abbiamo ancora una risposta precisa sulla divisione del cosiddetto centro-destra. Ma le premesse, anche se si raggiungesse un accordo, non sono incoraggianti.