Gabriele Cirilli: “Gigi Proietti? È stato come un padre”

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Intervistare Gabriele Cirilli dopo averlo visto in scena al Manzoni di Milano in #TaleEQualeAMe ha ancora più gusto. La sensazione di persona alla mano la trasmette sul palco così come tramite la cornetta. 

Gabriele, la scorsa stagione avevi già girato diverse città italiane con un altro spettacolo, Tale e quale… a me, c’è una connessione con questo nuovo che porterai in giro fino ad aprile 2016?

Tale e quale…a me era uno spettacolo che parlava dei sosia, quello di quest’anno, #TaleEQualeAMe ha in sé l’hashtag. Io apro il mio hashtag al pubblico. Ho usato ancora una volta il “tale e quale a me” perché è un titolo che scimmiotta lo spazio televisivo occupato con Carlo Conti (il programma di successo della rete ammiraglia Tale e Quale Show, nda).

Tale e quale… a me era diretto da Andrea Palotto, c’era anche una scenografia diversa e tutto un mondo dedicato agli Oscar; quest’anno ho voluto dare spazio a un’idea che mi è venuta a settembre mentre ero a tavola. Aprendo Instagram e cliccando sulla foto abbiamo iniziato a commentarla con gli amici, dando vita, a suo modo, a un piccolo show. Lì ho pensato che poteva essere un’idea da portare sul palcoscenico.

Nel tuo spettacolo dici «crisi o non crisi, ridete, ridere fa bene» e sottolinei come in tv ridono per qualsiasi cosa, a partire dagli spot pubblicitari. Ora, sempre con rispetto parlando e un po’ provocatoriamente, secondo te come mai ci prendono ancora così “in giro”? O è il pubblico che ha bisogno di vedere questo in tv?

Affronto il mondo dello spettacolo in modo molto sereno in Italia. La tv, ad esempio, è innegabilmente una vetrina di visibilità, è molto immediata, arriva dentro le case delle persone. L’arte vera è quella del palcoscenico quando hai un rapporto molto diretto col pubblico, io quasi ci colloquio e purtroppo né il piccolo né il grande schermo possono darti questo.

In #TaleEQualeAMe non tocchi la politica se non di striscio, facendo, ad esempio, la battuta sul fatto che il nostro Presidente non rida – «Sergio Mattarella solo una volta in vita sua»…È una scelta ben precisa?

Quel riferimento nasce dall’aver notato che questo Presidente non si apre mai a risate grasse probabilmente perché molto timido. Ad ogni modo assolutamente sì, è una scelta perché penso di non saper fare satira politica, poi magari un giorno scoprirò di avere anche quelle corde.

Ovviamente il tasto non è mai semplice da toccare, anche perché si teme di essere fraintesi, ti va di dirci la tua a riguardo? Col tuo polso di comico, di artista e anche personalmente, come vedi la nostra situazione?

Secondo me la politica consiste nell’avere rapporto con le persone. Tempo fa proposi alla Rai un soggetto, Il sindaco, perché pensavo si potesse riavvicinare la politica alle persone. Una volta, se pensiamo anche a “Peppone e Don Camillo”, il sindaco spesso lo faceva il farmacista o il medico di paese perché loro ascoltavano i cittadini, avendoci a che fare anche grazie al proprio lavoro. Credo che i politici debbano sentire i problemi reali. Andando in giro con gli spettacoli incontro e ascolto persone. Purtroppo c’è gente che non riesce ad arrivare a fine mese e i politici, invece, si preoccupano di temi molto più gravi ed enormi. Si dovrebbe ripartire da quelli piccoli per ricostruire una politica e un’economia nazionale. Va da sé che si tratta di un’opinione molto personale, ma come fai a far satira su questo? Ritengo sia un po’ pericoloso andare a scherzare sui problemi reali delle persone.

Nello spettacolo colpisce come più volte tu ricordi che sia doveroso «non dimenticare mai» e citi il tuo grande maestro Gigi Proietti. Nella tua gavetta hai avuto modo di lavorare anche con Ugo Gregoretti, il quale ti ha diretto ne L’uomo, la bestia e la virtù. Potresti regalarci un aneddoto legato a loro?

Proietti è stata una figura fondamentale per me, quasi un secondo papà anche perché io entravo nella sua scuola (Laboratorio di Esercitazioni Sceniche di Roma, nda) e mio padre veniva a mancare. Lui mi ha dato la possibilità di entrare nel mondo dello spettacolo. Come aneddoto mi fa piacere rievocare quando mi chiamò la prima volta. Nessuno si aspettava che potesse telefonare proprio lui in persona tanto che quando mia cognata rispose al telefono, lo scambiò per Flavio Insinna visto che Flavio frequentava casa nostra e avendo entrambi una voce cavernosa. Lei gli suggerì di chiamarmi a Sulmona e, infatti, lo fece, rendendomi partecipe del suo tour teatrale che divenne il mio primo.

Per quanto riguarda Gregoretti, invece, mi piace ricordare che mi venne a vedere al saggio finale della scuola di Proietti, da lì mi chiamò per il provino e in quella circostanza piacqui anche al primo attore, l’indimenticabile Flavio Bucci. Lui è stato ed è un grande mattatore del nostro palcoscenico e mi ha segnato molto in quella tournée.

In #TaleEQualeAMe ironizzi su Nord & Sud, ma anche su Roma e Milano a cui, certo, sei grato. Evidenzi, però, anche di esser stato per quindici anni a Roma senza che arrivasse l’occasione per emergere e poi, appena ti sei trasferito a Milano, hai superato il provino per Facciamo Cabaret di Gino e Michele. C’è, secondo te, una motivazione da “imputare” al cosiddetto sistema?

Io credo siano casi della vita. Forse magari il destino mi ha premiato in quanto io e mia moglie abbiamo avuto questo coraggio di partire, lasciare tutto per cercare qualcosa di nuovo, ma di certo non è una cosa matematica. Poi ci sono delle bellissime qualità che hanno Roma e i romani così come aspetti negativi e questo accade anche per Milano perciò ci scherzo sopra su entrambi.

Quindi anche il tuo essere testardo in quanto abruzzese ti ha aiutato in questo percorso?

Senz’altro! Mia nonna non l’ho voluta nominare in #TaleEQualeAMe, ma ho dato tutte le sue caratteristiche al personaggio di Zio Riccardo. Lei una volta mi disse: «ricordati Gabriè, daje, daje e daje, la cipolle divende aje» nel senso che se uno insiste alla fine si raggiunge il risultato desiderato.

Mentre assistevo allo spettacolo, mi ha colpito come tu sia riuscito a conquistare il pubblico del Manzoni, partecipava tanto…

Io ho questa regola: se la gente vede che sei sincero, ti premia. Ho alternato fasi cabarettistiche a fasi teatrali proprio per far capire che il cabaret è un’arte teatrale. Se ci riflettiamo un attimo, in America, grandi attori come Billy Crystal, Ben Stiller, Steve Martin, Danny DeVito sono tutti partiti dal cabaret per poi arrivare a realizzare film importanti, anche seri. Bisogna essere in grado di rappresentare il mondo dello spettacolo a 360°.

C’è però un pregiudizio verso questa forma di spettacolo. Rispetto ai tempi di Cochi e Renato, Jannacci, Villa, c’è un approccio diverso verso lo spettacolo di cabaret? Secondo te viene ancora considerato come spettacolo di “serie b”?

Sì, qui in Italia molto. Io, ad esempio, sono nato come attore, però ho pensato che interpretando il ruolo del cabarettista avrei avuto maggiori opportunità; ma dai noi credo che ci sia questo grande pregiudizio non solo tra il cabaret di una volta e quello di oggi, ma proprio verso l’arte cabaret. Se ti proponi ad alcuni registi, fanno un po’ di difficoltà perché per loro avere un cabarettista nel loro film sarebbe come una diminutio.

Come si può scardinare quest’idea anche a livello di pubblico?

Non so dirlo in generale. Cerco di lavorare attraverso i miei strumenti, provando a trasmettere alla gente che a me piace fare tutto: cantare, ballare, recitare dal comico al drammatico. Poi non puoi sapere la risposta del pubblico, ma almeno ci ho provato e ci provo, è un dialogo e vedo che pian piano mi stanno premiando.

Alla fine di #TaleEQualeAMe hai detto: «Non è necessario essere perfetti in questa vita», un messaggio che hai lanciato sempre col sorriso, vuoi aggiungere qualcosa?

Vorrei citare da A qualcuno piace caldo:

«Daphne: Osgood, voglio essere leale con te: non possiamo sposarci affatto.

Osgood: Perché no?»

e continuano fino al punto in cui:

«Daphne: Ma non capisci proprio niente, Osgood! Sono un uomo!

Osgood: Beh, nessuno è perfetto»

per dire che è innamorato di quella persona indipendentemente dal fatto che sia un uomo o una donna. Bisognerebbe far capire che nella vita la perfezione non esiste.

C’è un episodio OFF che vuoi raccontare ai nostri lettori?

Io ho tanti ricordi della mia vita, ovviamente più o meno piacevoli. Parto da un presupposto: bisogna essere determinati e in tal senso ho un ricordo di quando mi fidanzai con Maria (co-autrice di alcuni suoi spettacoli, tra cui quest’ultimo, e spesso citata durante gli stessi, nda). Lei ha un carattere molto forte, deciso. Mi ha colpito con una frase che mi ha raccontato successivamente e non mi riferì in quel momento. «Guardà Gabriè, io quando ti ho visto la prima volta e ci siamo piaciuti, dentro di me ho pensato: questo è mio marito». Ecco per me dire un pensiero simile significa che sai dove vuoi andare nella vita e cosa vuoi dalla stessa vita.

Pensi che ci sia ancora un aspetto inedito di te che non è stato ancora colto?

Sì, credo che nessuno abbia ancora capito che io potrei essere utilizzato anche come attore. Certo va detto che i registi che lo hanno fatto, da Riccardo Milani a Fabrizio Costa ed Enrico Oldoini, sono stati contenti.

Ad esempio tanto di capello a Luca Medici/Checco Zalone, che è stato bravissimo nel creare questa grande energia intorno a sé tanto che ci investono ancora prima di vedere com’è il film. Adesso mi piacerebbe che qualcuno si fidasse anche di me perché credo, dopo trent’anni in cui sto dimostrando di valere, che meriterei di fare qualcosa di più importante di ciò che ho fatto fino ad ora come un film o uno show in tv tutto mio (e lo dice con umiltà. Per fortuna in teatro sta accadendo, nda). Sarebbe bello che anche qualche mia idea venisse presa in considerazione, ne ho fatte leggere tante, qualcuna me l’hanno anche rubata, ma queste non si possono rivelare (lo dice sdrammatizzandoci su, nda).

Quali sono i prossimi progetti di cui puoi parlarci?

Farò una trasmissione con Diego Abatantuono che andrà in onda su La7. Si tratta di una gara di comici, io condurrò e lui sarà il presidente di una giuria composta da Paolo Ruffini e Selvaggia Lucarelli. S’intitola Eccezionale veramente.