Rosencrantz e Guildenstern sono morti, ma ancora non lo sanno. O meglio. Lo sospettano, lo intuiscono, ma evitano di dare corpo alla consapevolezza di esserlo. Nonostante le cento monete lanciate per aria che ricadono, inesorabilmente e contro ogni calcolo probabilistico, tutte con “testa”.
Per la prima volta il Festival Shakespeariano di Verona, giunto alla 67esima edizione, si è aperto giovedì sera al Teatro Romano con un’opera contemporanea, quel Rosencrantz e Guildenstern sono morti (in prima nazionale, questa sera l’ultima replica) di Tom Stoppard, messo in scena nel 1966 e adattato per il cinema dal drammaturgo inglese nel 1990 (Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia). La tragicommedia di Stoppard è diretta, tradotta e adattata da Leo Muscato che ha voluto sul palco, nei panni dei due protagonisti del titolo, Vinicio Marchioni e Daniele Liotti, enfatizzando i toni comici, surreali, della vicenda (produttori dello spettacolo sono Khora teatro e Bananas). I costumi riccamente elisabettiani portano la firma di Marta Crisolini Malatesta, anche scenografa dello spettacolo.
Dalla porta-sipario al centro della scena essenziale che ricostruisce un palco sotto le mura, può entrare ed uscire solo una strampalata compagnia dei tragici , straordinaria ensemble, capitanata dal primo attore (Gianfelice Imparato), pietosamente consapevole della sorte dei due amici del principe di Danimarca. Il limbo di Rosencrantz e Guildenstern, ricostruito dalle luci nette di Pietro Sperduti, diventa spazio dell’assurdo, in cui i ruoli si possono anche scambiare, in un gioco tra realtà dove nasce la gag, la risata. Un atto d’amore nei confronti del Bardo. E si sa: con chi si ama veramente, si può anche scherzare.