“Il pallone smarrito”. Tra affari, ricordi e geopolitica

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Gennaro Malgieri, Il pallone smarrito, Tabula Fati, 2015

“Il calcio è il balletto delle masse”. Così lo vedeva Dmitri Shostakovich. Elegante e dinamico. Nobilmente semplice. Povero. Lo immaginava per ciò che era: la sintesi tra un popolo ed il suo gioco che però, è molto più di un diletto. “Il calcio è una delle più formidabili forme culturali del nostro tempo”, che si alimenta nella mistica e negli eroi, nella storia e nella battaglia, nei ricordi. È totale. E’ in un prato tra blocchi di cemento, è d’estate, in un campo di grano appena falciato. E’ al Maracanà e al Santiago Bernabeu, è al Mondiale. “Una partita di calcio, non è sempre una partita di calcio.
Per il semplice motivo che il calcio non è solo uno sport” ma uno specchio sincero della collettività, della sua salute e dei suoi vizi. Il “pallone” segue il divenire sociale e ridisegna una propria geopolitica. “Se il Mondiale Brasiliano ha segnato la fine della “centralità” calcistica europea con l’esclusione dalla fase finale delle vecchie potenze continentali, ha proiettato sullo scenario internazionale nuovi soggetti […] come il Cile, la Colombia, la Costa Rica, l’Uruguay, gli Stati Uniti […] in attesa che si confermino le nazionali africane ed asiatiche” (Pag. 49, Capitolo 16 “Il Contagio Globalista” – il titolo dice tutto -). Considerazione che ricorda molto ciò che accade fuori dagli spalti. E’ un mondo parallelo e costante.

Con questi occhi d’ammirazione, critici e consapevoli, ce ne parla Gennaro Malgieri nel suo Il Pallone Smarrito (Tabula Fati, 2014, 111 pp, 10 euro). “Altro che Di Stefano, Pelè, Maradona. Non ci sono più i veri fuoriclasse”. Così esordisce Malgieri a seguito di un intenso e piacevole “tete a tete” –.
Anche il calcio si è massificato. “La globalizzazione, non ha reso il calcio mondiale migliore. Ne ha abbassato il livello. Lo ha reso omogeneo” (Pag.81). Come dargli torto.
“Il Pallone smarrito” è una spontanea similitudine. Ma anche un racconto, un piccolo trattato tecnico. Una telecronaca, o per essere fedeli ad un tempo che non c’è più, ad una sofferta ed ardente radiocronaca, quando la voce era tutto, era trasmissione e sentimento, era resa all’amarezza o gioia incontenibile. Malgieri, presenta lo scorso Mondiale di calcio – svoltosi in Brasile – sotto una luce nuova, che fonde tecnica ed intelletto, anima e corpo. Senza forzature.

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Gennaro Malgieri

Il libro, che trae spunto da una collaborazione con Formiche.net vissuta proprio nei giorni del campionato del mondo, offre una rilettura della geopolitica calcistica. Non ci sono più i fuoriclasse di una volta. Ma non come fosse l’inutile piagnisteo di qualche nostalgico. E’ amara constatazione, dura e consapevole presa di coscienza di un calcio che si sputtana al denaro, alle trattative dell’ultimo minuto, alla casacca più conveniente, che annulla il “genio”, le proprie peculiarità, frutto di tempo e fatica, di visioni. Di giocatori-pedina, troppo spesso di Club Europei, troppo spesso “migratori” per affari. E’ una critica lucidissima e lungimirante, verso la morte della fantasia, dell’estro tecnico ed umano, nel ricordo, nel tocco in più, inimitabile, che rendeva un uomo un campione, un campione una leggenda, temuto dagli avversari, esempio per ogni fanciullo che tirava calci ad un pallone in strada. Continuando a trasmettere amore ed emozione. Rendendo immagini, memoria. E’ una testimonianza attiva di come anche il gioco del calcio, si sia abbandonato, come un corpo morto, alle mode del tempo, senza preservare la delicatezza e la dignità delle sue gesta, alla globalizzazione sfrenata; si sia massificato, annullando eccezioni e caratteristiche, tradizioni e scuole, identità.

“Poi ci si interroga, a dire la verità ipocritamente, sulle ragioni della crisi del calcio. Del calcio inteso come spettacolo, armonia, genialità. Ecco: la dimensione ludica e sportiva, viene bruciata in poche ore dalla venalità. Chi sale e chi scende. Chi vede aumentare il proprio valore economico e chi lo vede scemare”, scrive Malgieri in uno dei capitoli finali del libro-taccuino, ad appena due giorni dalla finale mondiale di Rio de Janeiro, “Neppure il tempo di valutare vittorie e sconfitte […] e già si scatenano le quotazioni, come al mercato della vacche”. La poesia, le genuina povertà, l’anima del calcio, ridotto ad un mercato, in cui la fatica ed il sacrificio, le origini ed i sogni di gloria, costruiti, ponderati, sudati, lasciano spazio a preziosismi e fragilità dei singoli, che si ripercuotono, come vibrazioni sottili ma potenti, sul gioco di squadra. E poi i “Club” e l’affarismo spietato, che, soprattutto in Italia ed in Europa, mozza le gambe alle speranze di tanti giovani. Perchè magari è meglio acquistare “stranieri” di dubbio valore, riempirne i campionati, gli spogliatoi, i turn over. Acquisirli con clausole liberatorie o a prezzi stracciati. Insomma, anche il calcio vive la sua stagione di sterile ipocrisia estetica e si allontana dall’attesa, dalla ponderatezza, quella che magari fa aspettare più tempo, fa saltare qualche turno “mondiale” ma poi da i suoi frutti.

“Il Pallone Smarrito”, però, è anche storia sportiva ed umana. Cultura e citazione. Interconnessione intellettiva, interazione tra fisica e metafisica, sapientemente illustrate dalla penna saggia, fine ed elegante di Malgieri che, anche nel caso/capitolo della clamorosa uscita della nostra “Nazionale” – per mano dell’Uruguay -, non si lascia mai andare ad imprecazioni facili.
Il mondo fugge a velocità siderale, attratto dal luccichio dell’oro, lontano dalle sue responsabilità. La palla è tonda e corre ancor di più. Ma la speranza che si fermi per tornare alle origini, riscoprendo una tradizione che torna ad essere continuità sportiva, non muffa, un’identità ed un senso di comunità, che una volta si chiamava “fare spogliatoio”, capace di far tornare il genio e l’umiltà nei piedi di qualche campione.

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Emanuele Ricucci
Emanuele Ricucci, classe ’87. È un giovanotto di quest’epoca disgraziata che scrive di cultura per Il Giornale ed è autore di satira. Già caporedattore de "IlGiornaleOFF", inserto culturale del sabato del quotidiano di Alessandro Sallusti e nello staff dei collaboratori “tecnici” di Marcello Veneziani. Scrive inoltre per Libero e il Candido. Proviene dalle lande delle Scienze Politiche. Nel tentativo maldestro di ragionare sopra le cose, scrive di cultura, di filosofia e di giovani e politica. Autore del “Diario del Ritorno” (2014, prefazione di Marcello Veneziani), “Il coraggio di essere ultraitaliani” (2016, edito da IlGiornale, scritto con A.Rapisarda e N.Bovalino), “La Satira è una cosa seria” (2017, edito da IlGiornale) e Torniamo Uomini (2017, edito da IlGiornale)