
Al Mibact è periodo di grandi cambiamenti. Dopo la riorganizzazione del ministero, eccoci ad un’altra vigilia, vissuta tra ansie, timori e rassegnazione: l’entrata in vigore del nuovo decreto per lo spettacolo dal vivo. Trattasi di un provvedimento che riassume antecedenti e separate disposizioni amministrative su teatro, musica, danza, circo e spettacolo viaggiante, e che introduce alcune novità. Si parla di svolta epocale, ma anche di pulizia “etnica”. A differenza di musica, danza, circhi e spettacolo viaggiante già disciplinati per legge, il settore più esposto è quello del teatro, ancora privo di un riconoscimento normativo.
LE DIATRIBE PER ACCONTENTARE LE CLIENTELE
Ma si tratta di moderna politica culturale? Diamo alcune suggestioni:
la triennalità dei finanziamenti fu introdotta sul finire degli anni ’90 e poi abbandonata per l’incertezza finanziaria del Fus e per l’effettiva impossibilità dei soggetti di programmare per un lungo periodo, stante l’esiguità e l’aleatorietà delle risorse a disposizione. Lo scenario è forse mutato?;
dietro i teatri nazionali si nasconde una diatriba secolare per accontentare clientele di qualsiasi tipo, quasi fossero conferimenti “alla memoria” o sostegni a “carriere politiche”, ma nulla a che fare con l’attualità di una funzione culturale;
le residenze non sono una novità, dapprima introdotte dallo Stato per poi essere accantonate e successivamente riprese in alcune regioni;
i teatri di rilevante interesse culturale sono una nuova categoria in cui convoglieranno teatri stabili pubblici e di interesse pubblico-privato, in una commistione di ruoli che alimenterà ulteriormente la deleteria pratica degli scambi che condiziona il mercato teatrale;
di centri di produzione si parlava sul finire degli anni ’60 alla vigilia della loro trasformazione in teatri stabili privati, una regressione sostanziale di posizioni che, unita al generalizzato innalzamento dei minimi di attività, prefigura la riduzione del numero dei soggetti, senza incidere sulle rendite di posizione;
la facilitazione al finanziamento pubblico dei giovani artisti è un tema ricorrente negli anni senza aver prodotto effetti tangibili;
la conferma dell’intervento pubblico solo in presenza di un deficit, costituisce una pratica che ha dato vita ad ogni sorta di “finanza creativa” per aggirare l’apparente impedimento.
QUALI SONO I CRITERI PER QUANTIFICARE L’INTERVENTO PUBBLICO
Una riflessione a parte richiedono i criteri per quantificare l’intervento pubblico, mix fra qualità artistica (max 30 punti) attribuiti dalle Commissioni con parametri predefiniti, qualità indicizzata (max 30 punti) e dimensione quantitativa (max 40 punti), entrambe assegnati dall’amministrazione in maniera automatica secondo parametri fissati con logica di proporzionalità e adeguatezza. Limitare l’incidenza dell’arbitrio dell’arbitrio della qualità è circostanza condivisibile; lo è meno la ratio dei dati quantitativi stabiliti con metodologia comparativa fra soggetti. Ciò darà risalto ai grandi numeri prescindendo dalla “qualità” della spesa che essi sottendono (costi dei cachet, periodi di scrittura, compensi per recite, numero di spettatori rapportati al bacino regionale), con una ovvia premialità del “borderificio industriale” a discapito della capacità di “rischio” culturale e della tenuta dell’intero sistema.
E’ dunque legittimo domandarsi se la rivalutazione delle funzioni dei soggetti, la maggiore trasparenza delle procedure, la cripticità dei sistemi parametrali non costituiscano lo strumento improprio per operare l’evocata esigenza di ridurre il numero dei soggetti, circostanza confermata dal “paracadute” introdotto per il primo anno del triennio in cui il contributo assegnato non potrà risultare inferiore al 70% dell’anno precedente.
UN SISTEMA CHE ESCLUDE I PIU’ DEBOLI
Si tratterebbe, come avvenuto in passato, di una selezione acritica (ma di più vaste dimensioni) motivata dalla necessità di concentrare le risorse per assicurare maggiore proficuità al sostegno pubblico, specie se i destinatari saranno quegli oligopoli “garantiti” che ledono il ruolo dei tanti artisti e delle piccole iniziative private che costituiscono l’humus culturale di un sistema che non ha eguali nel contesto europeo. Sono tante le iniziative cancellate negli anni, colpevoli solo di prendere poche risorse, con la conseguenza che spesso non sono stati i peggiori ad essere esclusi ma i più deboli, per i quali il sostegno pubblico ha rappresentato un ostacolo alla crescita artistica e imprenditoriale piuttosto che un’opportunità.
E così, ancora una volta si rischia di perdere l’occasione di perseguire i veri obiettivi: favorire opportunità; rinnovare la scena artistica, la proposta, la platea dei fruitori; promuovere l’evoluzione di un sistema capace di gestire al meglio e rendere produttive le risorse pubbliche affidategli; attuare una politica di agevolazione fiscale per attrarre gli investimenti privati nel settore.
SI RISCHIA DI TORNARE AGLI ANNI 50, ANZI, PEGGIO
L’orizzonte che si delinea rievoca quello degli anni ’50: alcuni grandi teatri stabili pubblici, pochi pioneri della futura stabilità privata, un manipolo di compagnie nazionali capocomicali e un numero limitato di esercizi teatrali con l’arduo compito di diffondere la cultura teatrale in tutto il Paese. Ma si trattava allora del dopoguerra, con l’entusiasmo della ricostruzione e la tensione morale di edificare una Italia nuova in cui anche la cultura trovava piena legittimazione per rifondare e rinsaldare la coesione civile, sociale ed economica della nazione.
Oggi la situazione è ben diversa, anche se l’effetto post crisi potrebbe riportarci, per opposte scelte, non ad un nuovo inizio ma allo scenario bellico della desolazione.
La democrazia culturale passa attraverso il pluralismo di voci, di esperienze,di opportunità: non vogliamo credere che l’acronimo Fus (Fondo Unico delle Spettacolo) possa anche significare “Finanziarne Uno Solo”. Ma il paradosso a volte supera la fantasia…
prima Velrtoni, ora Franceschini, certo che il comunismo socialista , tanto sbandierato da queste persone e´solo um alibi per rubare e sfruttare l ´´ ignoranza di molti Italioti con la scusa di dare coltura…..comunista ovviamente.
Comments are closed.