Autocandidatosi sindaco del capoluogo meneghino, il politico ex pm non sa dove sta di casa il capolavoro di Leonardo. Ma il problema dei politici inconsapevoli è nostro, non suo. Riflessioni sulle élites
Il video che racconta questo piccolo episodio sta girando in rete. Il Corriere della Sera lo ha postato in home page, in modo quasi anodino, col titolo: “L’aspirante sindaco Di Pietro «bocciato» nel test di cultura milanese”. Forse per non incorrrere in querele per diffamazione (non si sa mai), la parte scritta è riservata ai commenti dei lettori che, manco a dirlo, seppelliscono il pur simpatico Antonio da Montenero di Bisaccia alle prese con un test di cultura generale da quinta elementare (anche noi ci affidiamo alle immagini qui a fianco). Ma a ben guardare, due giorni prima, l’editoriale del quotidiano di via Solferino, a firma di Michele Ainis, aveva già detto tutto quello che è necesssario dire (e sarebbe sufficiente rileggersi l’articolo).
Ad adiuvandum, aggiungiamo qualche piccola postilla.
La questione dell’ignoranza dei politici è antica. Non per forza un politico ignorante è peggio di uno colto. Può esserci un villano ignorante eppure scaltrissimo: basti ricordare la sapienza del Bertoldo di Croce. Il buon senso spesso è radicato nella terra e come si diceva dei contadini “scarpe grosse, cervello fino”. Certo, l’ignoranza del ceto politico è disarmante, non solo l’ignoranza del mondo in generale, persino delle cose specifiche della propria professione (cosa che non si dà per l’agricoltore, costretto per necessità a sapere quando e come piantare i semi). Le famose interviste tipo Iene ci hanno mostrato più volte e in tempi diversi la povertà, l’insipienza, la balordaggine di deputati e senatori giunti al laticlavio non si sa bene per quali ragioni, non certo per essersi distinti in consapevolezza e cultura.
Non per forza i sapientoni fanno meglio, ovvio. I governi tecnici, composti di professori e accademici di vaglia, talora hanno ottenuto risultati più imbarazzanti dei governi politici. Ciò nonostante un giusto mezzo dovrebbe esserci.
La politica sembra prediligere una selezione all’incontrario delle élites, slezione per mezzo della quale i peggiori raggiungono i vertici. E visto che alla politica, in un paese socialista come il nostro, spettano le nomine in tutti i settori più importanti (dagli enti economici a quelli culturali) ci ritroviamo in un bel casino. I politici ignoranti scelgono per governare le nostre istituzioni spesso loro pari, almeno in termini di ignoranza, e così il disastro è infinito. Si predilige la fedeltà politica all’esperienza o al curriculum, e alla fine ci ritroviamo un tubista che si occupa di sanità, un macellaio che si occupa di trasporti, un dentista che si occupa di informatica… spesso con il duplice salto mortale che un incompetente già in un campo specifico viene promosso, cosa ancora più sublime, in un settore non suo (citiamo Ainis: “…il Garante della privacy è un dermatologo. Al governo c’è una farmacista a guidare gli Affari regionali, un’imprenditrice della moda sottosegretario all’Istruzione, un laureato in lettere viceministro dell’Agricoltura. Ma la stessa laurea è un optional: alla Camera non è laureato il presidente della commissione Trasporti, al Senato quelli delle commissioni Finanze e Sanità. E la commissione Ambiente è presieduta da un odontoiatra“).
Anche la laurea, chiosa Ainis, è dunque “un optional”. Inciso: non crediamo che la laurea valga più di tanto, non laureati hanno dimostrato doti incredibili ottenendo enormi successi (anche in campi riservati agli accademici), ma se questo mio pensiero valesse come regola generale e non come eccezione perché insistere sull’istruzione e la meritorcazia come gli stessi politici ignoranti amano fare?
Si dice (e se lo chiede Ainis e ce lo chiediamo pure noi): “ma in politica vige il principio della rappresentanza, non della competenza?”. Certo. “Fino a un certo punto” risponde Ainis e rispondiamo anche noi. I politici sono lo specchio di chi li elegge? Sono uno specchio deforme essendo peggio di chi li elegge? Devono essere migliori di chi li elegge? Domande non facili: se io milanese non so dove sia l’Ultima Cena, uno dei simboli della mia città, quando scelgo il sindaco desidero che egli sappia o meno questa minuzia? Oppure me ne frego? Mi vanto di non saperlo e voglio che neppure chi mi rappresenta non lo sappia? Quando mando mio figlio a scuola, preferisco che il maestro sia più colto del bambino, oppure no? Il politico che mi rappresenta deve essermi di esempio? Deve essere d’esempio per gli altri? Voglio che esibisca la mia stessa ignoranza, oppure che sia meglio di me?
Ah saperlo…
Non credo che I milanesi si facciano infinocchiare due volte. I risultati ottenuti da Pisapia dovrebbe far loro riflettere
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