A Foligno, negli spazi del CIAC – Centro Italiano Arte Contemporanea, la pittura di Valerio Adami torna a interrogare ciò che resiste al tempo: il mito, la spiritualità, la necessità del sacro come struttura del pensiero e dell’immagine. La mostra Valerio Adami. Mito e spiritualità, in programma fino all’11 gennaio 2026 e curata da Italo Tomassoni e Vera Agosti, celebra il novantesimo anniversario dell’artista con un progetto espositivo di ampio respiro, capace di restituire la complessità di una ricerca che attraversa oltre mezzo secolo di storia dell’arte.
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Cinquanta opere, tra dipinti e disegni, compongono un percorso che non ha carattere devozionale né illustrativo, ma si configura come una riflessione profonda sulla trascendenza intesa in senso laico e universale. In Adami il sacro non è mai dogma, bensì tensione conoscitiva, spazio simbolico in cui mito, filosofia, poesia e memoria storica si intrecciano in una visione del reale come metamorfosi continua.
Il segno netto, disegnativo, che struttura l’immagine e ne governa la costruzione formale, si combina a un uso del colore controllato e mentale, mai emotivo in senso espressionista. Il tempo, nella pittura di Adami, non scorre: si stratifica. La storia diventa simultaneità di eventi, figure, riferimenti colti e autobiografici, secondo una grammatica visiva che rende ogni opera una soglia interpretativa.
Il percorso espositivo alterna grandi tele e disegni, questi ultimi vero nucleo generativo dell’opera adamiana, luogo della prima intuizione concettuale e poetica. Emergono con forza i rimandi alla storia dell’arte — dalla Trasfigurazione di Raffaello al San Pietro di Crivelli — accanto a citazioni letterarie e musicali. Opere emblematiche come Calvario, ispirato a W.B. Yeats, o Figura crocifissa, dedicata a Ben Shahn e alla tragica vicenda di Sacco e Vanzetti, testimoniano come il tema della violenza, della morte e della colpa attraversi l’intera produzione dell’artista.
Accanto alle figure cristologiche compaiono angeli — nati in origine come elaborazione del lutto per la scomparsa del padre — e poi divenuti presenze universali, così come sfingi, Caronte, divinità del mondo classico. Il dialogo interculturale si amplia con simboli dell’ebraismo e dell’Islam: il Muro del Pianto, le menorah, le moschee. Un atlante visivo del sacro che non conosce gerarchie, ma affinità simboliche.
Come sottolineano i curatori Italo Tomassoni e Vera Agosti:
“La poetica di Valerio Adami, rivela, in tutta la sua imponenza, un immaginario complesso tragico ed ironico, favolistico e realistico, simbolico e memoriale, che in questa eccezionale mostra è stato puntualmente e largamente rappresentato anche antologicamente”.
In questa tensione tra sacro e profano, che in Adami non si oppongono ma si risolvono in un ossimoro fecondo, l’arte assume una funzione originaria: ricostruire il mito come forma di conoscenza. È lo stesso artista a dichiararlo, in un intervento del 2000 significativamente intitolato L’importanza del destinatario:
“Io credo che l’arte debba in qualche modo ristabilire un ponte con il divino, probabilmente attraverso uno stato di estasi. Si crede che oggi il sacro non abbia più senso, e che la cultura moderna debba uccidere l’ultimo dio per trovare una nuova felicità. Penso invece che l’arte sia ancora questo ponte verso il sacro, verso la ricostruzione del mito”.
La mostra non si limita a celebrare un maestro dell’arte contemporanea, ma invita a una riflessione urgente sul ruolo dell’immagine oggi. In un tempo che sembra aver smarrito il senso del simbolo, Adami continua a indicare una possibilità: quella di un’arte che pensa, che interroga, che non rinuncia alla dimensione spirituale come spazio critico dell’esistenza.











