Con Valore Italia e Premio Caputo la cultura si unisce all’impresa

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C’è una Napoli che viaggia, che racconta sé stessa tra le pieghe della tradizione popolare e le forme dell’arte contemporanea. Una Napoli che ha scelto di parlare al mondo attraverso gli occhi e le mani dei suoi giovani. È la Napoli del Premio Caputo, vincitore della categoria “Produzioni Culturali d’Impresa” del Premio CULTURA + IMPRESA 2024-2025, il riconoscimento che celebra le migliori sinergie tra cultura e mondo produttivo.

Un premio nel premio, potremmo dire. Perché il progetto, nato da un’idea di Valore Italia in collaborazione con Mulino Caputo — storica azienda molitoria fondata esattamente un secolo fa — non è solo una celebrazione aziendale. È un atto di mecenatismo contemporaneo che ha saputo cucire insieme arte, impresa e memoria. Con ago e filo ben piantati nella stoffa viva della città.

Il cuore dell’iniziativa è una mostra nata dai giovani dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, che hanno trasformato la cucina popolare partenopea in linguaggi visivi nuovi. Il risultato è un racconto collettivo e vibrante, fatto di piatti, colori, odori e storie che partono dai vicoli di Napoli e arrivano fino a Tokyo. Sì, perché, dopo l’esordio all’Archivio Storico della Fondazione Banco di Napoli nell’autunno 2024, la mostra è volata oltreoceano, accolta a giugno dall’Istituto Italiano di Cultura di New York, e proseguirà il suo viaggio culturale a Londra, per approdare nel marzo 2026 in Giappone, nell’ambito delle celebrazioni per i 2500 anni dalla fondazione della città.

«L’Italia crede nei suoi giovani artisti», ha commentato con soddisfazione Marco Maria Cerbo, Capo Unità per il coordinamento degli Istituti Italiani di Cultura. «Con questo progetto valorizziamo la loro creatività su palcoscenici internazionali. L’arte contemporanea parla a tutti e supera le barriere linguistiche».

E forse proprio in questa capacità di abbattere confini e mettere in dialogo mondi diversi risiede la forza del Premio Caputo. Una forza che neanche i suoi stessi promotori avevano immaginato all’inizio. «Quando abbiamo presentato la candidatura era quasi un esercizio, un gesto simbolico», confessa Salvatore Amura, presidente di Valore Italia. «C’erano colossi in gara. Ma abbiamo creduto nella bellezza di questo percorso, nella sua capacità di unire cultura e cibo, arte e impresa».

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Un percorso che ha avuto anche un ritorno interno inaspettato. Lo racconta emozionato Antimo Caputo, amministratore delegato dell’azienda: «Questa esperienza ha reso orgogliosi i nostri collaboratori. Siamo tornati da New York cambiati. È stato come andare in gita da ragazzi, ma tornare con il cuore pieno e la testa più consapevole. Abbiamo capito di aver fatto qualcosa di grande per Napoli, per l’Italia». E aggiunge: «Quando si parla di cultura e impresa, credo che siano due cose che devono viaggiare insieme. Valorizzare i giovani attraverso i loro occhi e i loro codici comunicativi ci ha insegnato tanto».

C’è chi parla di un “modello da replicare”. Amura lo chiama “percorso circolare”: «Abbiamo dato spazio ai giovani e in cambio abbiamo ricevuto nuovi stimoli, nuove idee, nuove prospettive. È un arricchimento reciproco». Il meccanismo si è rivelato virtuoso, tanto da aver generato un’alleanza che ha saputo fare squadra: Mulino Caputo, Cassa Depositi e Prestiti, Accademia di Belle Arti, Fondazione Banco di Napoli, Valore Italia. Un piccolo sistema paese che funziona.

Il futuro è già in cantiere: nuovi progetti con CISAL sull’archivio storico aziendale, collaborazioni con ACEA Heritage per raccontare Roma attraverso lo sguardo dei giovani artisti, e appuntamenti internazionali tra Osaka e Shanghai per portare avanti il dialogo tra arte e innovazione.

In un’Italia che spesso fatica a trattenere i suoi talenti, il Premio Caputo mostra che, quando impresa e cultura si parlano, possono diventare molto più della somma delle loro parti. Possono farsi racconto collettivo, leva di cambiamento, gesto politico. Possono, soprattutto, diventare casa per chi ancora cerca il proprio posto nel mondo.
E in questa casa, costruita con la farina e i colori, con la memoria e la visione, Napoli — ancora una volta — insegna a tutti come si fa.