In scena con Valerio Binasco Pirandello contro Pirandello

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Credit Virgina Mingolla

I devoti di Pirandello si offenderanno un po’, ma gli passerà presto. E poi i devoti in generale è giusto farli arrabbiare“, scrive nelle note di regia Valerio Binasco, regista e attore tra i più apprezzati e premiati della scena italiana, che con Sei Personaggi in cerca di autore, in scena al Teatro Strehler di Milano (fino al 9 marzo), torna a Pirandello per “scandagliare il senso del fare teatro oggi“, con un’opera che all’ennesima potenza contiene i capisaldi del teatro del grande drammaturgo siciliano, premio Nobel per la Letteratura. E con allestimento dir poco rivoluzionario. Sarà per questo che Binasco mette le mani avanti quando avverte il bisogno di precisare “da Pirandello” invece del “di” iniziale. Traslazione non da poco. E subito si notano forti la mano e la rilettura di Binasco, tesa verso la semplificazione e l’avvicinamento alla celebre opera (per chi non la conosce) rimescolando, aggiungendo o sottraendo parte del copione originale. Quando debuttò nel 1921, al Teatro Valle di Roma, il pubblico si trovò di fronte a qualcosa di completamente inedito, un assalto alla forma del teatro borghese, un corto circuito fra realtà e finzione, che fece gridare alla platea in sala “Manicomio, manicomio”. Un teatro che cent’anni fa era innovativo e adesso è diventato con tutta evidenza un classico, con una trama e una forma scenica ormai cristallizzate. Insuperabile e insuperato, da richiedere rispetto filologico maniacale per il testo e la messa in scena, così come maniacalmente Pirandello l’ha indicata nella sue didascalie.

Binasco prende sul “serio” la rivoluzione teatrale pirandelliana e la porta alle sue estreme conseguenze. Nell sua divertita, dissacrante rilettura, ha persino l’ardire di riscrivere il finale con un colpo di scena (o meglio di pistola) del riottoso scontroso figlio che dopo 104 anni si ribella al copione scritto per lui da Pirandello, a differenza degli altri personaggi che ossessivamente continuano ancora a chiedere, di teatro in teatro, di poter rivivere sulla scena l’eterno ritorno del loro dramma lasciato incompiuto dall’ autore che aveva deciso di buttarlo nel cestino. Un finale spiazzante per lo spettatore che conosce la versione originale. Ma che risuona come una sorta di nemesi.”Basta. Finisce così questa storia, sempre così. Sempre così. Lei annega nella vasca e lui si tira un colpo. Bum. Loro li prendono in braccio e fanno la loro scena di disperazione. Io non ne posso più di tutto questo!», grida esasperato il Figlio.

Talora però, spiace dirlo, la semplificazioni, comprensibili per sottrarre il testo pirandelliano impregnato di raffinato cerebrale filosofare, insieme alll’esasperazione dell’effetto comico hanno portato a una “cancellazione” del portato drammatico del testo (seppur racchiuso nel proverbiale distacco dell’ironia pirandelliana. Calcando un po’ troppo la mano in alcuni punto, forse per accontentare la smania voyeuristica di parte del pubblico. Un esempio può essere il momento dell’incontro fra il Padre e la Figliastra nella atelier- casa di appuntamento di Madama Pace dove la giovane è costretta a prostituirsi (se non si presta la Madre rimane senza lavoro). “E togliamolo, togliamolo via subito, allora, questo vestitino”: in Pirandello la scena era solo dialogica, raccontata per altro dalla Figliastra, invece Binasco si spinge più in là materializzado in scena l’iniziale amplesso, con tanto di pantalone e gonna abbassati, ma che forse non era proprio così esiziale.

Lo spettacolo (scene di Guido Fiorato, costumi di Alessio Rosati, luci di Alessandro Verazzi), ha inizio con il sipario parzialmente aperto e le fredde luci al neon accese, che non si spengono neppure quando sul palcoscenico viene svelato finalmente nella sua interezza: un ampio salone, forse una palestra di una scuola in un seminterrato, un canestro da basket a mezza altezza, un grammofono, un tavolo con vecchie sedie, una porta che dà su un’uscita, più in aggiunta un’altra porta a vetri. Irrompe prima un attrezzista, poi il capocomico-direttore che mima lo sbatter delle famose uova di Leone Gala e infine una marea di giovani che vestono abiti di oggi, rumorosi ribelli,, ragazzi che cercano di fare canestro , parlano tra di loro, bisticciano, si rincorrono, si baciano e che, svogliatamente, stanno provando “Il Giuoco delle Parti” di Pirandello, diretti dal Capocomico. Assistiamo a un sarcastico battibecco (tutto inventato da Binasco) fra il Capocomico e due degli attori che dovrebbero interpretare Il giuoco delle parti: “ma questa roba fa schifo, Pirandello è di una pesantezza appiccicosa e insopportabile”. E s’odono subito clamorose risate di consenso dal pubblico in sala. E in questo chiassoso coro, dopo un tempo più lungo (forse troppo lungo, occorre dirlo), dal palcoscenico si materializzano (nel copione originale entrano invece dal fondo della platea ) il Padre, la Madre, la Figliastra, Il Figlio con i loro abiti anni Venti e con un trucco marcatissimo, ognuno con il suo tormento (ed è qui che che si realizza quel “teatro nel teatro”, all’insegna di “realtà o finzione”). Personaggi abbandonati dal loro autore e che da oltre un secolo stanno vagando da un teatro all’altro alla ricerca di qualcuno che metta in scena il loro dramma familiare.

Valerio Binasco si porta sulle spalle un Padre dolorante ma anche ancora ossessionato dalla seduzione che la figliastra ha esercitato su di lui, sempre alle prese con un fazzoletto con il quale si asciuga naso e lacrime. Sara Bertelà, pur nella stringatezza ed estrema stilizzazione delle battute che il copione le assegna, è una mater in lutto di dolorosa efficaci. Il Figlio è interpretato da Giovanni Drago, ostile, taciturno e ruvido, un paio di occhiali scuri, toccherà a lui, come già anticipato, a riscrivere in qualche modo anche il finale contravvenendo al copione originale. Yuri Ferrini in chiave caricaturale interpreta la parte del Capocomico.in profonda crisi creativa. Senza freni, sprezzante “spavalda, quasi impudente” (così la volle l’Autore) provocante, accanita nel suo odio verso il patrigno è la Figliastra di Giordana Faggiano, brava, ma con qualche enfasi di troppo come quella esasperante risata stridula, acre di disprezzo e di spettrale amarezza. Supplicano, insistono, raccontanto frammenti della loro storia. Dopo un’iniziale resistenza, il capocomico-regista, incuriosito accetta la surreale proposta dei personaggi. Insorgono però dei problemi. Ai personaggi non piacciono le interpretazioni degli attori della Compagnia, vogliono essere loro a rivivere la tragica scena. Lo spettacolo anche questa volta non andrà in scena. Il dramma rimane aperto, pronto a ripetersi. Ma non sono mancati i momenti comici che in alcuni punti diventanto anche grotteschi che provocano risate in sala. “Nella vita c’è da piangere e c’è da ridere. Ma io son vecchio e non ho più tempo di fare tutt’e due le cose. Preferisco ridere”, lo diceva anche Pirandello. Sì. ridiamo, è molto meglio.

Si replica allo Strehler fino al 9 marzo. Poi Trieste, Rossetti 13-marzo ; Roma, Argentina 19-30 marzo; Massa, Guglielmi 1-2 aprile; Ferrara, Comunale 4-6 aprile ; Ancona, Delle Muse 10-13 aprile.