Dieci anni fa ci lasciava il Califfo

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10 anni fa ci lasciava il Califfo. Venti milioni di dischi venduti, 32 album pubblicati, migliaia di opere fra poesie, scritture e testi per la musica. E noi siamo ancora qui ad ascoltare le sue canzoni, ad ammirare quella sua voce roca e quella sua vita agitata. Prima di andarsene disse: “Non escludo il ritorno”. E in un certo senso, infatti, non se n’è mai andato…Lo salutiamo con questo articolo sul biopic di Stefano Calvagna

Non escludo il ritorno, il biopic di Stefano Calvagna su Franco Califano. Ruspante, “stracult”, con lampi di verità.

CalifanoFilm“Non escludo il ritorno”. Cantava nel 2005 a Sanremo Franco Califano. Il ritorno di un amore, di una gioia, di una vita. Che però poi si spegne il 30 marzo del 2013 dopo una lunga malattia. Perché “tanto non c’è niente di logico nell’esistenza”. Dalle stelle alle stalle non è solo un modo di dire. Il Califfo l’ha sperimentato sulla sua pelle e la caduta per le scale nel 2010, preludio di un male sfiancante, segna un punto di non ritorno nella sua vita. La “terza” come ama chiamarla il regista Stefano Calvagna che ora l’ha portata al cinema in, appunto, Non escludo il ritorno. Gli anni del “cuore mio è diventato più profondo”, dei ricordi di “quando eravamo più giovani e la vita era leggera”, però anche del “sento che quel sentimento nel tempo non si è spento”, tutti racchiusi in un film che vuole raccontare il cantante più intimo e riservato, impersonato – letteralmente – da Gianfranco Butinar, che amava aprirsi e confrontarsi solo con i più giovani (il gruppo dei fan “Frankiani”) e con gli amici. Come il regista stesso che nel film è il ‘road manager’ del Califfo o come Giuliano (con il ritorno al cinema di Franco Oppini) e Luna (Nadia Rinaldi). “Considero tutto questo – racconta il regista – come una mia personale dedica a Franco, di cui oltre che fan di vecchia data, sono stato un personale amico. Ho conosciuto che tipo di uomo fosse e che cosa volesse dire per lui “raccontare”: io racconto la sua persona nella stessa semplicità e nella sincerità in cui lui amava vivere”.

Stefano Calvagna persegue un suo cinema ruspante – non solo per le risorse economiche limitate – che spesso diventa “stracult” ma che non esclude l’affacciarsi di lampi di verità. O anche di sentita dolenza nel racconto di un artista disilluso, sul viale del tramonto e in difficoltà economiche che però cerca di rimettersi in gioco. I fasti e i successi del passato sono un ricordo lontano e ora, anche il solo mettere in piedi una data di un concerto, si trasforma in uno strazio senza fine con il suo impresario, interpretato da Enzo Salvi, che organizza eventi e serate non proprio di prim’ordine. Senza questo confronto con il pubblico per Califano la vita non ha senso. Perché tutto il resto è veramente noia. No, non ho detto gioia.

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