L’uomo che sussurrava ai suoi “Mostri”

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Si definisce «un ragazzo di paese da quasi dieci anni trapiantato in città». Antonio Langone ha lasciato Satriano di Lucania, circa duemila anime raccolte nella provincia di Potenza, per trasferirsi a Roma, dove dice di «sopravvivere evadendo dal caos per rifugiarmi nelle oasi che la stessa città offre: parchi, ville, giardini o, semplicemente, il balcone di casa con leggero venticello».

Classe ’88, come tanti era approdato nella capitale per via degli studi universitari. Ma la musica ha dato un corso diverso alla sua storia. Alle spalle aveva già lo studio della tromba, cominciato a sette anni grazie alla banda del suo paesino, e quello della chitarra, con cui a diciassettenne anni strimpellava i più grandi classici. «Poi onestamente non so come sia andata, mi sono ritrovato quasi per caso a scrivere canzoni».

Catapultato a Roma, apre i concerti di Eugenio Bennato, James Senese & Napoli Centrale, Niccolò Fabi, Fabio Concato («Ho potuto rubare con gli occhi segreti da poter, magari, riutilizzare in futuro»). Altrettanto significativo il passaggio al CET di Mogol: «E’ un importante contenitore di idee. Tanti ragazzi con la stessa passione, ma con una prospettiva differente. E’ stata un’esperienza interessante soprattutto per la possibilità di confronto».

Arrivato alle fasi finali di concorsi come Premio De Andrè, Premio Bindi, Musicultura, Antonio spiega che i suoi brani «nascono da pensieri, da paure, da illusioni, sogni o ansie». Le influenze indie-folk sono ben riscontrabili nelle sue canzoni, melodie che vengono arricchite da testi delicati, carichi di malinconia a tratti evocativa.

Si presentano così le nove tracce che compongono Oltre gli alberi ci sono le stelle, il suo disco d’esordio. «E’ il mio personalissimo viaggio degli ultimi tre anni. E’ la rinascita dopo un momento di smarrimento. E’ il ripartire dalle cose che contano, dalle cose che restano».

A lanciare questo lavoro è stato Mostri, che considera «un pezzo spartiacque, mi ha dato tanto, soprattutto in consapevolezza. Sapere di esistere e sentire il dovere di conquistarmi un posto, di rendere fertile il mio terreno per delle idee propositive e condividere queste speranze con i miei mostri, che non mi lasceranno mai».

Il cantautore lucano confida che spesso la musica l’ha salvato: «Rappresenta una madre che accudisce, un amico che ascolta, un’amante che tradisce. La musica mi ama e mi odia e lo stesso vale per me, la amo e, a volte, la odio». Adesso il suo obiettivo è quello di portare il suo disco in giro il più possibile, mentre il desiderio quello di poter lavorare presto a nuove canzoni per un secondo album.