Neanche la natura sradicherà il flusso vitale dell’identità. Non un sisma che apre crepe profonde tra le generazioni, che separa la virtù dell’uomo costruttore di bellezza e dignità etica, dagli occhi e dall’anima dei nuovi figli d’Italia che non avranno a goderne. L’identità è radice, la radice impedisce di volar via col vento del progresso disumanizzante. Ma cos’è l’identità? Non è roba da adoratori di bamboline di porcellana nella cristalliera della nonna ma l’espediente narrativo di una vita libera. Ce lo spiega Adriano Scianca in un’opera ponderata e matura, la cui lettura suscita un grande bruciore di stomaco, visto l’evolversi di un declino bastardo e impietoso nei riguardi della civiltà italiana ed europea. Un libro “L’identità sacra. Dèi, popoli e luoghi al tempo della Grande Sostituzione” (AGA Editrice, pp.276, Euro 18) diventa manuale della reazione da passarsi di mano in mano. E per farlo, percorre tutte le tappe necessarie – Scianca si muove nel tempo e nello spazio, nella parola dei grandi, Da Agamben, fino a Locke e Kant, nell’osservazione dei piccoli e della contingenza; nella trattazione sociologica, antropologica, politica, sacra e mitologica del concetto di identità, di nazione, di razzismo, di radici, dalle virtù della Grecia classica sino alla civiltà romana; passaggi che partono da un presupposto: la Grande Sostituzione di camussiana memoria – del Renaud non dell’Albert -, le Grand Remplacement. Popoli utili e meno utili, modelli utili e meno utili nella grande corsa spietata verso un annichilente ed utilitaristico progresso fatto di speculazione, denaro, dissacrazione e disumanizzazione. L’identità sacra: dedicato a chi vorrebbe che perdessimo l’abitudine a noi stessi, parcheggiati nel Vecchio continente malato di Alzheimer.
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