C’è da prendersi un po’ di tempo dopo aver visto Youth – La giovinezza, di Paolo Sorrentino. Tempo per riflettere, per pensare, per far decantare il racconto, le immagini. E alla fine magari sbilanciarsi in uno sperticato applauso all’indirizzo del regista napoletano che con questo film traccia un profondo solco tra la propria filmografia passata e quella che verrà.
La storia, è presto detto, narra le vicende di un ex direttore d’orchestra (Michael Caine) che durante le vacanze estive si ritrova a trascorrere le proprie giornate in una Spa in compagnia dell’amico di una vita Nick (Harvey Keitel), dell’attore frustrato (Paul Dano), della figlia (Rachel Weisz) e di Miss universo (Madalina Ghenea). L’ex direttore e gli altri personaggi si trovano così a discutere della vita, del suo incedere e di come la giovinezza e l’anzianità cambino la prospettiva attraverso cui l’essere umano filtra l’esistenza nelle sue fasi.
La storia, come spesso avviene nei film di Sorrentino, è un mero veicolo usato dal regista per affrontare e sdoganare i temi più cari. Le emozioni, il silenzio, la fretta e l’ansia del vivere, la vittoria e la sconfitta, l’eleganza, il desiderio e come sempre il dolore. Avendo Sorrentino vinto il Premio Oscar per La grande bellezza chiunque andrà a vedere il film sarà portato, volente o nolente, a un confronto diretto tra le due pellicole. Ebbene, nonostante la firma sia la medesima le due pellicole non potrebbero differire maggiormente. Barocca e fiabesca La grande bellezza, riflessiva ed in punta di piedi La giovinezza. Una recitazione italiana nel primo, una totalmente straniera nel secondo. Il silenzio riflessivo sotto “il casino” della vita della Roma che conta, contro il silenzio riflessivo dell’umanità che favella sul proprio operato. Inquadrature, musiche, temi trattati, tutto differisce nonostante siano presenti alcuni elementi tipici del gusto estetico di Sorrentino.
Youth è un’opera corale, sorretta da dialoghi intensi e meravigliosi e da silenzi profondi e carichi di significato. La pellicola è irradiata da giochi di luce ed ombre che ancora una volta denotano l’eccezionale senso estetico del cineasta napoletano. Anche le musiche che variano dal pop al classico evidenziando una poliedricità rara da trovare nel panorama internazionale. Le musiche si alternano alla perfezione andandosi a fondere con le immagini sullo schermo. Se volessimo, per gioco, estrapolare dei quadri dalle singole inquadrature di Sorrentino, da questa pellicola ne uscirebbero delle opere meravigliose, non ultima il poetico nudo della Ghenea. Il cast recita in maniera toccante e compassata e il piccolo ruolo ritagliato apposta per Jane Fonda finirà per divenire un cult.
Insomma un film elegante e toccante, che non alza mai la voce e parla alla parte più sensibile dello spettatore. Meno altisonante, in un certo senso “barocco” e proprio per questo meno pesante a livello visivo e di resa complessiva de La grande bellezza. Un Sorrentino più maturo, emotivamente capace di controllare il proprio stile. Il film regala alcuni momenti assolutamente toccanti, pure riflessioni dell’anima. Eleganza e compostezza in un mondo capace oramai solo di urlare.
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Citazione dal film
“Voglio raccontare il suo desiderio. Il mio desiderio.
Il desiderio. Così puro. Così impossibile. Così immorale.
Ma non importa parché è quello che ci rende vivi”.
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