Fausto Coppi Mi chiamava Valerio

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La storia del gregario del campione di ciclismo nel film di Bonciani e Biddau.

di Pierpaolo De Mejo

Chi passò la borraccia all’altro tra Coppi e Bartali in quel 6 luglio del 1952? La foto che ritrae il momento (scattata durante il tour de France tra le roventi curve del Col du Galibier) ha fatto storia. Ma svelare l’arcano serve ormai davvero a poco, l’importanza di quell’istantanea sta, semmai, in ciò che trasmette: il ricordo indelebile del nostro glorioso passato nello sport a due ruote. Il ciclismo del dopoguerra rappresentava un Italia che sudava e lavorava sodo, era composto da eroi venuti dalla provincia, desiderosi di riscattare le loro umili condizioni. Un passato di successi sportivi che nemmeno la più recente macchia del doping è riuscito a cancellare.

Giusto parlare dei campioni, ma non dimentichiamoci dei gregari. Proiettato in anteprima il 24 gennaio al cinema Excelsior di Reggello (Firenze) il film Mi chiamava Valerio, diretto da Patrizio BoncianieIgor Biddau, narra la vicenda di Valeriano Falsini (interpretato da Riccardo Sati), ex ciclista professionista degli anni ’50. Nato proprio a Reggello nel 1928, soprannominato “il pentolaio” (per via del mestiere del padre), Falsini entra nel team di Costante Girardengo a 22 anni. Conosce Fausto Coppi, di cui diventa grande amico (il titolo fa proprio riferimento al modo in cui il campione era solito appellarlo). Proprio Coppi lo porterà con sé alla Bianchi

Ma già nel ‘52 la carriera del giovane atleta toscano viene interrotta da una grave artrosi alla schiena. Ed ecco che quella che poteva essere la storia di un altro campione di provincia si trasforma in quella dello sconfitto che, dopo l’ultima caduta, proprio non riesce a rialzarsi. Bonciani e Biddau vanno a scovare questa vicenda nascosta nella piccola provincia toscana, e la raccontano attraverso morbidi movimenti di macchina, volti segnati (quelli degli interpreti, tutte facce nuove), musiche strumentali, e un paesaggio e un dialetto che sembrano essere rimasti intatti a distanza di più di mezzo secolo. Erano gli anni ‘50, e il ciclismo era uno sport fondato sulla lealtà e sull’amicizia. “Chiamami Fausto. Tra ciclisti ci si da del tu” disse il campione Coppi al giovane ed emozionato Falsini che gli stringeva la mano per la prima volta. Ancora oggi, ogni anno, il 2 gennaio, Valeriano sale in bicicletta a Castellania per rendere omaggio all’amico.