Alla Fabbrica del Vapore un Giudizio Universale così rinascimentale, così contemporaneo…

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Ci sono mostre che si visitano per curiosità, altre per interesse storico o artistico. E poi ce ne sono alcune che, senza eccessi né clamore, ti obbligano a soffermarti e a guardare più a lungo di quanto avessi previsto. La mostra di Jorge R. Pombo, ospitata nello Spazio Cattedrale della Fabbrica del Vapore a cura di Vera Agosti e Matteo Pacini, appartiene a questa seconda categoria.

Appena varcata la soglia, la prima sensazione è quella di trovarsi davanti a qualcosa di irregolare e potente. Una pittura che non pretende di rassicurare o di compiacere, ma che vive nel suo continuo trasformarsi. Corpi appena accennati, volti che emergono per poi svanire tra colature e pennellate dense, superfici che alternano zone di vuoto e di materia. Un dialogo, a tratti teso, tra la grande tradizione figurativa rinascimentale e il gesto pittorico contemporaneo.

Osservando l’opera centrale, ispirata al Giudizio Universale michelangiolesco, si ha la sensazione che il racconto sacro sia diventato pretesto per parlare di altro. Di un’umanità che oggi si muove incerta, senza certezze divine o destini già scritti. Le figure sembrano sorreggersi a fatica, sfumate ai margini, in una dimensione sospesa tra il sacro e il quotidiano.

A colpire non è solo la scala monumentale del progetto, ma la fisicità della pittura, il suo farsi processo visibile, le tracce della mano che lavora e ricomincia. Si coglie il senso di un’operazione collettiva, una pittura che nasce dal confronto, non solo con i modelli del passato, ma anche con il presente e le persone che lo abitano.

Ed è forse questa la cosa più interessante: sapere che dietro quei gesti c’è il contributo di uomini e donne arrivati da percorsi complicati, fragili, spesso esclusi dai circuiti ordinari della vita sociale. Un’umanità reale, che ha partecipato concretamente alla realizzazione delle tele. È un dettaglio che, una volta saputo, cambia lo sguardo sulle opere, perché quelle figure evanescenti sembrano assumere ancora più peso, diventare specchio di un’esistenza collettiva, fatta di passaggi incerti e tentativi.

Il percorso offre anche una visione dall’alto, che consente di percepire l’impianto generale del progetto: un grande racconto che si compone di frammenti e dissolvenze, più vicino a una memoria stratificata che a una rappresentazione ordinata. E forse è proprio questa l’intenzione di Pombo: restituire alla pittura il diritto di essere materia imperfetta, non definitiva, capace di raccontare senza urlare, di evocare senza spiegare.

Alla fine della visita rimane una sensazione strana, fatta di inquietudine e di bellezza discreta. Come quando si intravede qualcosa che somiglia a un frammento di verità, ma che sfugge nel momento stesso in cui si tenta di afferrarlo. Un’esperienza che, senza retorica, parla di pittura, di storia e di persone.