Devicenzi: anime erranti nella Milano senza volto

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Antonio Devicenzi nato a Casalmaggiore (CR) nel 1952, ha frequentato la Scuola d’Arte di Brera ed è stato prima allievo e poi assistente di Fernando De Filippi, in seguito “garzone di bottega” di Gianni Bertini, esponente della Mec Art italiana. Curioso di sperimentare altri linguaggi inizia a lavorare come Art Director in agenzie di comunicazione e lavora per marchi nazionali ed internazionali.

Dalla pittura alla grafica, alla pubblicità, sei stato tra i più richiesti Art Director tra gli anni Ottanta e Novanta, hai vent’anni di esperienza alle spalle nell’ambito della comunicazione, perché sei tornato a dipingere?

A dire il vero io non ho mai smesso di cercare un mio linguaggio artistico, anche quando mi applicavo nella professione di direttore pubblicitario, anzi proprio la pittura, la conoscenza dell’arte mi ha permesso di esprimere concetti creativi elaborati che in realtà miravano alla vendita dei prodotti da veicolare in modo originale.

Che eredità ti ha lasciato il tuo mentore Gianni Bertini, protagonista della Mec Art Italiana (Mechanical Art) teorizzata da Pierre Restany nel 1965, alla quale aderì tra gli altri anche Mimmo Rotella?

Nel collaborare con Gianni Bertini rimasi molto colpito dal suo modo di lavorare “non canonico”, in quanto usava la fotografia riportandola sulla tela. Il suo insegnamento pratico mi ha lasciato una ricca eredità, che ho appreso e rielaborato in maniera soggettiva.

Vivi e lavori a Milano, quanto incide il dinamismo di questa “città che sale” dall’identità europea nella tua iconografia?

Sinceramente è una simbiosi che non so descrivere. A volte Milano sono io. L’ho scelta e mi ha adottato. Sono profondamente legato a questa città futurista per indole in cui mi sono formato artisticamente, dove ho conosciuto e collaborato con grandi maestri del Novecento, e qui continuo a progredire nel mio percorso artistico, guardano cosa mi gira intorno, persone, volti, insegne, luoghi…cambiamenti ecc .

Nella società dello spettacolo la televisione, i rotocalchi, il cinema e la fotografia hanno inciso sull’estetica Pop degli anni Sessanta, attualmente come intrecci la pittura con l’iconografia delle immagini digitali?

Prima di arrivare all’immagine concettuale, c’è la ricerca, poi ci vuole la tecnica e la capacità di raccontare uno sguardo personale sul mondo per comunicare qualcosa a qualcuno!

Sei attratto dalla figurazione, dal fotodinamismo di eco futurista e negli anni Settanta hai vissuto dal vivo le ricerche neofigurative della scuola Pop milanese, composta da Paolo Baratella, Fernando de Filippi, Giangiacomo Spadari e Umberto Mariani, intrecciando strutture narrative stranianti in cui dipingi figure fluttuanti in uno spazio atemporale, qual è il messaggio?

La ricerca come sospensione del reale. Tutto il mio vissuto è uno stimolo immaginativo e nell’opera d’arte nulla è come sembra.

Quali sono le fonti delle tue opere che rappresentano entità erranti in movimento, raccolte in ‘foreste’ di ectoplasmi senza volto, che non poggiano i piedi da nessuna parte, quasi naufraghi nella “modernità liquida” come scrive Zygmunt. Bauman?

Nel ciclo pittorico “Noi fantasmi” metto in scena non tanto l’assenza, quanto il vuoto che permane anche in presenza. È un’operazione chirurgica e poetica al tempo stesso: smaterializzare la figura umana, sottrarle il peso della carne, la gravità dell’ombra, persino l’arroganza di un volto.

Le mie creature – perché chiamarle “persone” sarebbe già attribuire loro una forma compiuta – abitano spazi ordinari: interni domestici, vie urbane, luoghi pubblici. Ma nulla, in queste scene di apparente quotidianità risulta familiare. È come se la sostanza stessa della realtà fosse filtrata attraverso una lente di sospensione, dove tutto esiste senza appartenere davvero. Queste figure, trasparenti, inconsistenti, sono presenze che non reclamano attenzione né affermano identità. Non hanno nome, non hanno direzione, non hanno memoria. Non lasciano traccia né proiettano ombra. Vivono, o meglio attraversano, il giorno, il gesto, la convenzione. Sono l’eco di un’esistenza ridotta, a schema, a rituale svuotato; nessun dramma, nessun eroismo, solo la costanza del vuoto.

Il mio gesto pittorico non rappresenta nulla, ma ciò che resta quando l’identità viene dissolta dalla ripetizione. Ogni opera è un diario silenzioso del vivere contemporaneo, dove la moltitudine si annulla nel trasparente e l’individualità si perde nel flusso anonimo del fare.

Noi fantasmi”, spettatori e protagonisti di un quotidiano che ci attraversa senza appartenerci. Siamo fantasmi non perché morti, ma invisibili a noi stessi. In queste opere, restituisco il riflesso più crudo della nostra epoca: non quello del dolore, ma quello dell’indifferenza esistenziale, della presenza svuotata, del tempo che corre senza attrito. La mia pittura è senza materia ma densa di significato e in quel silenzio visivo, in quella trasparenza ostinata, si avverte un grido sordo. Non è un grido di protesta. È il mormorio di chi cerca “invano” di ritrovare il proprio volto, la propria vita.

Perché continui a dipingere ad olio e quali altri materiali utilizzi?

Io utilizzo i materiali che mi sono più congeniali per l’opera.

Nelle tue opere pensi di avere focalizzato nuovi paradigmi figurativi post espressivi di immediato impatto visuale, incentrati sul tema della vulnerabilità umana in questo complesso e distopico presente, se sì come e in quali opere?

Penso di averlo fatto in quasi tutte le mie opere.

Qual è l’artista vivente con la quale vorresti esporre prima o poi?

Fernando De Filippi.

Nel tuo lavoro sperimenti l’Intelligenza artificiale?

No.

Quali gallerie o collezionisti promuovono il tuo lavoro?

Nessuno, nemmeno la Permanente di Milano di cui sono socio.

Dipingi di giorno o di sera, sotto la luce artificiale o naturale e dove?

Prima disegni e poi dipingi oppure che fai?

Quando l’istinto lo richiede. Prima disegno e poi dipingo.

Qual è l’ultima mostra vista a Milano o all’estero?

In genere vedo tutte le mostre in programma in città. Frequento le mostre con intento formativo.

A quale progetto stai lavorando?

Anime erranti nel vuoto delle apparenze” un ciclo di opere che espongo presto da qualche parte.