In un panorama musicale sempre più schiacciato tra algoritmi, like e palchi sovradimensionati, Claudio Trotta, storico promoter di livello internazionale (da Bruce Springsteen a AC/DC, dai Queen a The Cure) e anima del Comfort Festival, alza la voce contro l’omologazione culturale. La sua ricetta? Musica suonata davvero, artisti che vivono il palco come mestiere e un pubblico che sceglie con consapevolezza. Alla quarta edizione e per la prima volta nel cuore verde di Villa Casati a Cinisello Balsamo, il festival si presenta come un antidoto al pop usa-e-getta e un invito a rallentare, ascoltare, condividere. Francesco Caprini di Rock Targato Italia lo ha intervistato in esclusiva per il Giornale OFF in occasione della conferenza stampa del Festival nella splendida cornice di Villa Casati di Cinisello Balsamo per capire meglio visione, idee e provocazioni di uno dei pochi che la musica l’ha sempre fatta con passione. E senza compromessi.
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Claudio, ho visto il programma di Comfort Festival 2025: lo trovo un vero e proprio omaggio alla bellezza, alla musica di qualità da condividere e a vivere con artisti importanti. Complimenti per la location (Parco e Villa Casati), una gemma in mezzo al verde e piante secolari. Inizio da una domanda più generale: cosa ti ha spinto alla creazione del progetto? Quali riflessioni e necessità ti hanno portato a maturare e questa idea?
Comfort nasce dall’esigenza di proporre una rassegna artistica indirizzata principalmente alla musica rock, roots, country, soul, blues e songwriting di qualità. Musica che possa essere apprezzata, goduta e vissuta in un ambiente naturale ma urbano, attrezzato per poter avere spazio vitale. Ascoltare musica con agio e benessere a prezzi razionali e accessibili e con la consapevolezza di voler fruire e non solo consumare quanto viene proposto, accessibilità, condivisione, armonia e internazionalità sono fra le caratteristiche principali.
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Il festival alla sua quarta edizione (la prima sul territorio Milanese) ha sempre dedicato uno spazio considerevole alla Musica Italiana suonata e cantata live, alla canzone d’autore e alla virtuosità di musicisti che utilizzano strumenti musicali con passione e competenza.
E’ una delle priorità di Comfort il tema della necessità di dare fiato a chi ha studiato musica e uno strumento musicale (anche la voce è uno strumento) e che ha dedicato la propria abilità nella ricerca di una personalità e creatività non omologata a quanto viene imposto dal sistema mediatico corrente.
Nato a Ferrara nel 2021, nel corrente anno si sposterà a Milano a Cinisello Balsamo: come mai? E perché non optare per una località più centrale come Milano?
Crediamo che sia importante non limitarsi ad una visone milanocentrica ma valorizzare il territorio parte di Milano Metropoli. La Villa Casati ha peraltro delle caratteristiche non replicabili allo stato dell’arte in alcuna delle location disponibili di Milano città. E’ davvero vicinissima al centro di Milano e facilmente raggiungibile con i mezzi, in bici, in moto o in auto. Più vicina per intenderci di Villa Arconati, con il suo più che consolidato Festival, che sicuramente è un riferimento adeguato quando si parli di Villa Casati.
Nel panorama italiano sei da sempre riconosciuto come un promoter con una visione organizzativa sociale e culturale caratterizzata da una sensibilità musicale che ti rende unico. Qual è la tua opinione riguardo all’attuale “corsa al San Siro”, meta ormai raggiungibile dai nuovi “artisti” lanciati sulla scena dai social e talent?
Credo che il tema a cui ti riferisci non riguardi solo San Siro ma più in generale con il fatto che da alcuni anni molti giovani se non giovanissimi cantanti e band sull’onda di un repentino successo commerciale si esibiscono in spazi molto grandi, sia indoor che outdoor e con produzioni costose e voluminose e che spesso privilegiano l’aspetto spettacolare a quello musicale.
Questi sono principalmente ragazzi spesso naturalmente fragili, come tutti lo siamo stati in giovane età, che umanamente vivono una accelerazione innaturale del loro processo di crescita individuale e di capacità di rappresentazione di se stessi dal vivo su un palco spesso troppo grande rispetto anche solo alla dimensione del loro repertorio.
Non nego che molte volte ci siano migliaia di persone che, temo forse poco consapevolmente, partecipino ai loro shows, ma credo che sia per i cantanti che per il pubblico si tratti di un consumo quasi totalmente acritico e superficiale di quanto vivono.
Gli uni, i cantanti, e gruppi spesso naturalmente inadeguati ad esibirsi di fronte a grandi masse di persone, senza aver potuto crescere professionalmente attraverso un percorso corretto e necessario di live in spazi prima molto ridotti e poi medi nei quali letteralmente imparare il mestiere di stare su un palco ed interagire con un pubblico.
Gli altri, il pubblico, “scelti” da marketing ossessivi che li spingono al consumo (la domanda è ormai generata dall’offerta e non più al contrario) ma non alla fidelizzazione al percorso creativo di chi sta sul palco e non unicamente alla “percezione” che gli stessi danno con evidente priorità a look, parole e “suoni” spesso imbarazzanti quanto fasulli e banali.
E’ temo una sorta di cul de sac quello in cui una parte considerevole dell’odierna scena mondiale del pop si è pervicacemente e coscientemente omologata in nome dei numeri e del business.
Solo la fine dell’abuso di posizione dominante di pochi players nel mondo, ormai letteralmente padroni di una enorme e considerevole parte di tutta la filiera del pop, potrà generare una inversione di tendenza quanto mai necessaria per il mondo reale della musica dal vivo composto da maestranze, artisti, imprese che positivamente creano e cercano opportunità di vita e di benessere psico-fisico.
La musica di qualità esisterà per sempre, è un fatto imprescindibile ed inalienabile dello spirito umano (almeno spero). Quali sono gli strumenti, secondo te, che dovrebbero essere utilizzati maggiormente per conservare, valorizzare e tutelare la qualità musicale e artistica, la condivisione, la partecipazione ai concerti?
Credo che si debba operare come si diceva un tempo agendo localmente ma pensando globalmente.
Servirebbe che ogni parte dell’intera filiera della musica popolare contemporanea lavorasse sempre di più, nel rispetto del territorio, alla ricerca di identità e personalità con ogni propria modalità possibile.
Il pubblico cercando di alimentare curiosità e ricerca musicale che di certo possa aiutare a stare meglio, le istituzioni delle principali città abbandonando l’esclusiva vocazione al business, ai grandi numeri e iniziando un percorso virtuoso di investimenti, magari anche con capitali misti pubblico e privato, nella formazione, nella informazione, nella costruzione di spazi adeguati di dimensioni piccole e medie sia indoor che outdoor, le imprese rinunciando alle speculazioni degli ultimi 20/25 anni nel ticketing e nella gestione dei servizi accessori e tornando a lavorare alla ricerca e alimentazione della creatività. Restano gli artisti che insieme al pubblico sono davvero l’anello più problematico.
Si tratta, credo, di tornare a esserlo artisti per molti di loro o forse anche a diventarlo rinunciando al facile miraggio dell’arricchimento senza alcun merito e della popolarità, che non va confusa con il seguito che invece credo garantirebbe loro una vita professionale più reale, più equilibrata e più duratura .
Si sta affermando un fenomeno contemporaneo contraddittorio, la gente sta rinunciando all’autenticità del live per spettacoli sempre più costruiti e spettacolari, dove la musica non è più al centro? che effetto ti fa?
Si tratta di richiedere formalmente e legalmente che le cose che vengono vendute corrispondano a quanto scritto sull’etichetta (nel caso nostro dei biglietti).
Lavorare per la trasparenza in modo che il pubblico nuovo giovanissimo e spesso cresciuto durante tre anni di stop del Covid e quindi senza alcuna reale cognizione delle caratteristiche principali di un concerto dal vivo e del significato profondo del mondo dello stare insieme, possa avere le informazioni necessarie per capire a cosa partecipa.
Questo non modificherà immediatamente le cose, ovviamente, ma sono fiducioso che come molte persone nel tempo hanno compreso la differenza fra nutrirsi di alimenti sani e ingozzarsi di schifezze che al palato sembrano buone ma che fanno male alla salute, succederà anche che i futuri frequentatori di spettacoli dal vivo avranno gli strumenti per scegliere e per capire a cosa partecipano e cosa li possa davvero arricchire umanamente. Ora non li hanno.
E per concludere, la figura dell’Industry Plant — artista costruito a tavolino ma presentato come spontaneo — è forse sempre esistita. Oggi però i giovani sembrano in grado di riconoscerla: è segno di una maggiore consapevolezza o piuttosto una resa all’artificio?
Sto utilizzando moderatamente AI per ricerche e approfondimenti, ma ovviamente un uso eccessivo e senza limiti potrà generare danni inverosimili. Mi auguro non ci sia mai resa alla deriva di estinzione culturale e umanitaria che stiamo vivendo e che da qualche parte qualcuno si ricordi che “La Rivoluzione non sarà trasmessa in televisione” (citazione Gil Scott Heron) e che agisca di conseguenza.