A 50 anni dall’assassinio di Pier Paolo Pasolini, la mostra di Simone Meneghello “Meneghello incontra Pasolini: non dualismo” alla Ticinese Art Gallery di Milano offre un’esperienza immersiva e performativa che va oltre la semplice commemorazione. L’esposizione non si concentra sulla morte di Pasolini, ma esplora la sua opera attraverso una manipolazione radicale dei suoi testi, trasformando le parole in entitร visive autonome. Attraverso l’uso di una macchina per scrivere, libri antichi e installazioni, Meneghello e il pubblico stesso rielaborano gli scritti di Pasolini, creando un dialogo tra significante e significato che coinvolge anche l’intelligenza artificiale. Un’esperienza artistica che sfida la lettura tradizionale e invita a una riflessione profonda sul linguaggio e la memoria.
Nel cinquantenario della morte di Pier Paolo Pasolini – d’ora in poi PPP – Simone Meneghello ci stupisce con la sua mostra difficile difficilissima da Ticinese Art Gallery a Milano, un’esperienza “immersiva” – come piace dire oggi – che piรน immersiva non si puรฒ: a pochi giorni dall’inaugurazione รจ seguita infatti un’esperienza performativa orchestrata da Meneghello in persona che ha coinvolto attivamente il pubblico. Ma di cosa stiamo parlando?
Innanzitutto sgombriamo il campo dall’aneddotica: รจ vero che la mostra “Meneghello incontra Pasolini: non dualismo” di Simone Meneghello รจ un tributo a PPP nel cinquantenario del suo assassinio, ma il progetto espositivo si tiene alla larga dalle ipotesi interpretative sulla morte dello scrittore e regista, nรฉ avanza informazioni resocontative in forma immaginifica – stiamo o non stiamo parlando di arte visive? – sul suo contributo alla storia della letteratura e del cinema, nรฉ si sbilancia su excursus storici su quell’Italia degli anni Settanta attraversata dai cosiddetti “misteri” e i famigerati “servizi segreti deviati”.
Quindi Meneghello vs PPP non ci vuole illuminare sulla storia ma su qualcosa di forse piรน profondo, sicuramente “metafisico”. Ma allora cosa c’รจ da vedere in mostra di grazia? E la susseguente esperienza performativa con il pubblico che รจ stato parte attiva in cosa รจ consistita?
E’ presto detto: una galleria trasformata in una sorta di palcoscenico ma senza interventi strutturali. A fare la scenografia sono gli strumenti del mestiere di Meneghello, cioรจ una macchina per scrivere Lettera 32 – eh no, non รจ la Lettera 22 di “Cilindro” Montanelli -, dei fogli di libri ingialliti dal tempo su cui vediamo grafemi intraducibili e altri libri, tanti altri libri senza scrittura, senza parole, ordinati a mo’ di sculture a parete e/o installazione sito specifica.
Dalla sovrapposizione dei testi allโuso dei caratteri mobili, dallโutilizzo del volume alle installazioni, “resto, come e con le mie opere, in bilico sulla linea di confine tra la vita e la morte, tra lโattimo poetico e lo scritto” , dice Simone Meneghello.
Un mio caro amico filosofo dei tempi dell’Universitร , Paolo Natale, scrisse un libriccino intitolato “Parole prima del linguaggio” e, a posteriori e a distanza di eoni, “Parole prima del linguaggio” suona proprio come perfetta epigrafe di questa mostra. Leggiamo infatti dal comunicato: “lโartista compie unโoperazione radicale sui testi di Pasolini e le parole del poeta, sottratte alla loro funzione comunicativa, si trasformano in presenze autonome che abitano la superficie dellโopera. Non piรน veicoli di significato, ma entitร concrete dove i testi pasoliniani diventano materia visiva e stratificazioni che custodiscono la memoria del linguaggio. Pasolini รจ presente in modo fisico e ineludibile: le sue frasi, i suoi versi e i suoi pensieri permangono integralmente nellโopera, pur sfuggendo alla lettura“.
Certo occorrerebbe magari aver fatto un corso di semiotica o di linguistica per afferrare il concetto, ma il “non dualismo” Meneghello vs PPP parla da sรฉ perchรฉ parla il linguaggio dell’arte e quindi (quasi) tutti lo afferrano: in tal senso le performance “(io) so” messa in scena di recente in galleria ha detto la sua con il coinvolgimento attivo del pubblico che, sotto la direzione di Meneghello, ha ripetuto quella “esperienza radicale” su una parte a scelta degli “Scritti corsari“, l’antologia che comprende il celeberrimo fondo sul Corrierone di PPP “Io so“.
Con la differenza che l’io รจ messo in parentesi, in una specie di sospensione fenomenologica perchรฉ qui, in galleria, a “sapere” non รจ PPP ma noi stessi. O almeno ci proviamo. Lo ha fatto anche l’intelligenza artificiale: in un contesto tecnologico dove ormai l’AI la fa da padrona ovunque, non poteva mancare un contributo che noi, facendo il verso a Benedetto Croce, possiamo battezzare come “il contributo alla critica di me stesso”.
Ma chi รจ il me stesso? E’ quell’ (io) messo in parentesi che dร il titolo alla performance “(io) so”? E’ il “non io” di Simone Meneghello che con la macchina per scrivere ha fatto “caos creativo” delle parole di PPP? E’ la “coscienza” – scritto fra cento virgolette – dell’AI?
Fra le opere a parete vediamo infatti un testo redatto dall’AI sempre su un foglio di un vecchio libro, stessa opera di “trasformazione radicale” sulle parole di PPP operata da Meneghello in primis e dal pubblico durante la performance “(io) so“.
Come sopra qui sotto: a “sapere” non รจ PPP ma noi stessi. O almeno ci proviamo: รจ un non incontro con PPP, una messa in parentesi del significato rispetto al significante, dove la parola, cosรฌ importante per PPP fra scritti corsari e cinematografia, si moltiplica stratificandosi nei grafemi che inesorabili vengono battuti da noi e da Meneghello con una Lettera 32 senza favella su vecchie pagine ingiallite dal tempo, quel tempo che dopo 50 anni da quel famigerato novembre 1975, giorno dell’assassinio di PPP, ancora non si รจ fatto galantuomo e non ci ha dato alcuna veritร certa su movente, mandanti ed esecutori. Un caos che nella realtร cronachistica non รจ creativo ma distruttivo.