Stefano Bini porta in tv “L’Italia più bella che c’è”, in onda dal 13 luglio ogni domenica alle 14:30 su La7.it. Cosa c’è di nuovo sotto il sole del Bel Paese? Ne abbiamo parlato con lui, tra viaggi e televisione.
Com’è nata l’idea de L’Italia più bella che c’è?
È nata dall’esigenza di raccontare non i soliti borghi, la solita cucina o il classico territorio italiano. Volevo dare voce a quei piccolissimi centri che spesso hanno millenni di storie da tramandare e di cui nessuno parla. Raccontare non la solita ricetta della tradizione, ma quelle ricette di famiglia che si tramandano di padre in figlio e che rischiano di scomparire.
E poi volevo raccontare il territorio da un punto di vista diverso: non il solito monumento, ma ad esempio la distesa di castagni dell’Amiata; non il classico palazzo, ma il Palazzo crollato all’Aquila; non le stazioni termali famosissime, ma quelle meno conosciute, come le terme di Fordongianus, una delle sole due che ci sono in Sardegna. L’Italia più bella che c’è nasce per raccontare un’Italia nuova, autentica, che spesso sfugge ai radar.
Credo di essere un buon narratore di questo tipo di storie perché vengo da una famiglia molto legata al proprio territorio, la Maremma, e da sei generazioni ristoratori. So di cosa parlo.
Hai già anticipato qualcosa, ma cosa vedremo di diverso rispetto ai programmi di viaggio già esistenti?
La peculiarità del programma è proprio questa: non siamo andati a scavare tra le solite mete. Nelle 13 puntate, ad esempio, ci sono solo due stazioni termali: Aquardens a Verona, che ospita la sauna più grande d’Europa e di cui si parla pochissimo, e le terme romane di Fordongianus, di cui parlavo prima, in provincia di Nuoro, praticamente sconosciute.
E poi c’è l’Aquila, di cui ormai si parla poco, mentre io voglio raccontare il post-terremoto e una città che è stata quasi del tutto ricostruita. Oppure le colline di Conegliano e Valdobbiadene: non ci siamo concentrati solo sul prosecco, ma sul paesaggio che è patrimonio UNESCO.
Ti faccio altri esempi: Fermo e Porto Sant’Elpidio, due perle delle Marche; Caccuri, nel Crotonese, territorio sempre bistrattato e che invece ospita uno dei premi letterari più importanti al mondo, di cui pochissimi sanno. Io vado a cercare proprio queste storie, che ancora non si sono raccontate o che meritano più attenzione.
Qual è stata la tua prima sensazione passando a La7, dove hai un ruolo triplice di autore, conduttore e capoprogetto?
È stato emozionante. Vengo da due anni a Discovery e cinque alla Rai, dove ho condotto sette programmi come autore e conduttore. Passare a La7 è stato bello perché è tutto più snello e veloce, le decisioni si prendono in fretta.
In più, avere la fiducia dell’editore Urbano Cairo, del direttore Andrea Salerno e di tutta la squadra di La7, sia dal punto di vista editoriale che commerciale, per me è motivo di orgoglio e felicità.
Come pensi sia cambiato il racconto dell’Italia in TV negli ultimi anni?
In realtà non è cambiato molto. Mela Verde su Canale 5 è sempre quella, anche se molto interessante. Linea Verde, con tutti i suoi spin-off, è rimasta sostanzialmente invariata da anni.
Credo che oggi il racconto del territorio debba andare oltre: oltre la cucina, oltre la cultura, oltre i paesaggi da cartolina.
Con L’Italia più bella che c’è cerco di dare diversità e unicità. La vera differenza è che il conduttore deve sapere di cosa parla. Io vengo da una famiglia di ristoratori da sei generazioni, come ti raccontavo, sono cresciuto con la cucina di mia nonna, il lavoro di mio padre e mio nonno. Ho viaggiato tanto e conosco bene il territorio perché ci sono nato e vissuto.
Ecco, la credibilità fa la differenza. Tanti programmi hanno conduttori che seguono un copione, ma il pubblico oggi non è più quello degli anni ’80 e ’90. È più attento, vuole autenticità.
Io non ho un copione. Certo, parlo col mio autore e con il regista, ma poi si va a braccio. È questo che arriva al pubblico, e credo sia anche il motivo per cui, in questi cinque anni, ho avuto la fortuna di condurre programmi, con buoni riscontri sia di pubblico che di critica. Ed è proprio questo che conta: essere credibili.
Quanto spazio pensi abbiano oggi le narrazioni positive in un panorama mediatico spesso dominato da cronaca e polemiche?
Guarda, su questo voglio essere positivo. Credo che la televisione italiana sia, in assoluto, la più bella del mondo. È varia, completa: accendi il televisore e trovi di tutto. Informazione seria, reality, alta cultura, trash, cartoni, telefilm, lifestyle. In pochi altri Paesi esiste una televisione così ricca.
Quindi sì, c’è spazio per la narrazione positiva, ed è importante coltivarla. Personalmente, non amo la cronaca nera: preferisco le storie belle, leggere, le storie di territori, di tradizioni e di persone. Ecco, questo è il racconto che mi piace portare in TV.
Oltre al tuo luogo di nascita, c’è una regione o un luogo in Italia che consideri “casa” più di altri?
Oltre alla mia Maremma, Milano 2, storico quartiere di Segrate dove abito da tanti anni, è sicuramente un altro luogo che considero casa. È un territorio che mi ha accolto e dove mi sento bene.
E poi, devo dire, ho riscoperto l’Abruzzo, una terra che non conoscevo bene e che mi ha letteralmente conquistato. Tanto che in questa produzione ci saranno ben tre — e forse quattro — puntate dedicate a questa regione. In particolare, all’Aquila, a Navelli, e proprio ieri ho finito di girare una puntata sul post-terremoto del 2009.
Se oggi mi chiedessero dove andrei a vivere, risponderei che sto bene a Milano 2, ma l’alternativa sarebbe sicuramente l’Abruzzo. Perché si mangia bene, ci sono il mare, le montagne, i boschi… ed è tutto molto simile alla Toscana e all’alta Lombardia. Con la differenza che in Lombardia, purtroppo, il mare non c’è!











