E quanto al titolo ci sia consentita la citazione cinematograficamente colta, sia pure con licenza poetica: se fossimo Umberto Eco, strizzeremmo l’occhiolino al lettore che sa. Per i non iniziati l’aiutino fa rima con il nome di un certo regista cult italiano…

Varcare la soglia di “Sibille. Voci oltre il tempo, oltre la pietra” di Christian Zucconi, allestita nella Cappella Ducale di Palazzo Farnese a Piacenza, è un’esperienza che somiglia a un rito iniziatico: un corridoio di penombra conduce il visitatore verso una luce improvvisa, come se si stesse attraversando il confine tra un mondo quotidiano e l’enigma del profetico. Dal mito classico all’arte contemporanea — in un percorso che attiva una tensione tra visione, memoria e materia.
Il pittore seicentesco e la Sibilla cumana

Zucconi: corpo, pietra e profezia
Intorno al dipinto, otto sculture sibilline in travertino rosso persiano e ferro — materializzazioni dense di tempo e significato — si impongono come presenze corporee che sembrano sospese tra materia e anima. Zucconi, artista piacentino classe 1978, non limita se stesso e non si risparmia, sia a livello creativo che allestitivo. Banale dire che crei figure, lui plasma presenze. Le sue opere incarnano l’idea di profezia come esperienza del corpo e del tempo: altro che tempo e spazio, dai giudizi sintetici a priori di Kant siamo ai giudizi creativi a posteriori, dove lo spaziotempo vira sul corpotempo.
La traversata nel deserto inizia nel buio del corridoio, quasi un simbolico attraversamento del limite tra mondo terreno ed estrafenomenico, oracolare. Qui, l’esperienza visiva è fisica: il buio confonde i sensi, spaventa ma poi il subbuglio del sacro e del profetico si dispiega nella luce della Cappella Ducale. Questa struttura scenica, intesa come soglia, pone il visitatore in un rapporto di soggezione e stupore, come se fosse chiamato a un atto di ascolto attivo.
Il mito delle Sibille
Le Sibille non sono figure decorative: nella cultura greco-romana erano profetesse dotate di una visione che superava i confini del pensiero comune e fossimo Kant (a rieccolo!) le chiameremmo idee della ragione. Si dice che custodissero vaticini inscritti su foglie, pietre o muri — simboli del sapere incerto e della profezia che non si rivela mai del tutto. Zucconi sembra aver colto questa ambivalenza: le sue sculture non predicono risposte, bensì sollevano domande.
Grandiosità fisica e tecnica dell’allestimento
Portare queste opere negli spazi storici della Cappella Ducale non è come dirlo. Per l’installazione è stato necessario impiegare mezzi tecnici significativi, come l’utilizzo di gru e attrezzature speciali per sollevare e posizionare con precisione i blocchi di travertino dove dovevano stare. E qui c’è la razza in via di apparizione, dove ogni scultura diventa nucleo di senso nel tessuto architettonico di Palazzo Farnese.
Un percorso tra tempo, suono e spazio
Il progetto espositivo non si limita alla mera visione formale: la presenza di un tessuto sonoro e la tensione tra antico e contemporaneo amplificano la percezione delle opere. La mostra propone un viaggio mentale, una mappa psicotemporale che dimostra come il mito sibillino risuoni ancora nel presente.
Oltre la pietra
A conclusione del percorso, ciò che rimane è una consapevolezza: l’arte non contiene risposte definitive, ma ci pone davanti a soglie che chiedono di essere varcate. Come le sibille antiche, le opere di Zucconi guardano oltre il visibile, invitano alla riflessione e trasformano il visitatore da spettatore in testimone di un sapere che resiste alla semplicistica catalogazione del presente.












