Nella project room Magic Bus della galleria Antonio Colombo Arte Contemporanea, Giuseppe Veneziano apre un nuovo capitolo del suo percorso con “Le Piazze d’Italia”, una serie di lavori che, ancora una volta, mettono in cortocircuito la grammatica pop dell’artista siciliano con la tradizione alta della pittura metafisica. Curata da Ivan Quaroni, la mostra è una raffinata operazione di riscrittura iconografica, dove l’eco delle architetture sospese di Giorgio de Chirico incontra il pantheon di celebrità e oggetti-icona della contemporaneità.
Il gioco di Veneziano non è mai fine a sé stesso. È, piuttosto, una riflessione sul nostro modo di attribuire valore e riconoscibilità, sull’idea di fama oggi ridotta a fenomeno mediatico. “Se un tempo la notorietà era il frutto di un percorso lungo e accidentato, oggi è legata alla visibilità, alla capacità di occupare il palcoscenico anche solo per un istante”, osserva Quaroni. Così, le statue antiche e i monumenti classici che abitano le piazze dechirichiane lasciano il posto a opere di Cattelan, Pistoletto, Paladino, Lodola, fino alla celebre banana blu dello stesso Veneziano, già esposta a Pietrasanta.
Le nuove piazze metafisiche diventano quindi palcoscenici ibridi, dove l’ombra lunga del pomeriggio autunnale – cifra poetica di De Chirico – si tinge di un’ironia tagliente e di una consapevolezza critica. L’algido dito medio di Cattelan si erge come un monumento laico in un vuoto urbano senza tempo; la Venere degli stracci di Pistoletto assume la monumentalità di un idolo contemporaneo; la Montagna di sale di Paladino si staglia come reliquia arcaica e fragile, sospesa tra memoria e dissolvenza.
Non si tratta, tuttavia, di un’operazione nostalgica. Veneziano rifiuta la retorica del déjà vu per proporre un “atlante aggiornato della visione” – così lo definisce Quaroni – dove codici classici e linguaggi pop convivono senza gerarchie, contaminandosi in uno spazio che è insieme mentale e critico. La sua Metafisica Pop non mira a riportarci indietro, ma a mostrarci quanto il nostro presente sia intriso di simulacri pronti a sostituire i miti del passato.
In questo cortocircuito, la pittura diventa strumento di analisi della contemporaneità: un linguaggio che, guardando al passato come a una risorsa, si misura con l’oggi senza paura di scivolare nell’ironia o nel paradosso. “Per Veneziano – scrive Quaroni – la piazza non è solo il teatro di un enigma esistenziale, ma un deposito di stratificazioni semantiche, dove storia e attualità si passano il testimone”.
Con Le Piazze d’Italia, Veneziano firma un ciclo che non si limita a citare De Chirico, ma lo reinventa. È un omaggio e al tempo stesso una sfida: prendere lo spazio sospeso della metafisica e consegnarlo al flusso incalzante del presente.


