Nazzareno Guglielmi nato a Fabriano (AN), ha studiato Biologia, Scienze Naturali e Pittura all’Accademia di Brera a Milano, dove vive e lavora, noto per lavori in ceramica e interventi in chiese o monumenti storici, come le straordinarie 14 predelle dedicate alla Via Crucis esposte al Santuario di Santa Maria dei Miracoli presso S. Celso a Milano(Corso Italia 37).L’artista concettuale ci racconta come ha rivisitato la Passione di Cristo in dialogo con la Via Crucis preesistente in chiave laica e contemporanea in questa intervista.
Come nasce il progetto della Via Crucis “Di terra e di Ferro” e quale obiettivi ti sei posto ?
DI TERRA E DI FERRO è un progetto che risale a molti anni fa. L’illuminazione è arrivata dalle Via Crucis di Lucio Fontana. Le ho viste tutte. In realtà non avevo un obiettivo preciso, è stata una sfida che mi sono imposto: rappresentare con un materiale classico- com’è la ceramica che sperimento dal 1981– questo rito religioso cattolico in modo diverso dalla tradizione iconografica, non figurativo, in linea al mio modo di operare per sottrazione e sintesi formale. Gli episodi della Passione sono rappresentate con sei segni essenziali.
Perché hai scelto creta e ferro per un progetto di Arte Sacra?
Ho scelto questi materiali perché sono antitetici, la ceramica è fragile come la Spiritualità e la Fede. Il ferro invece è il simbolo della forza e della razionalità. Nella terra che poi diventa ceramica il segno affonda, va dentro e qui rimane per sempre. Il ferro ho voluto che fosse arrugginito affinché testimoniasse un tempo contestualmente al suo simbolo. La ceramica si lavora con l’acqua e con essa il ferro si ossida. L’acqua, è un elemento simbolico sotteso, un fattore che accomuna tutte le varie religioni, penso al rito del battesimo o al Giordano, al Gange e alle abluzioni.
Come hai dialogato con la Via Crucis preesistente?
Nell’istallare il mio progetto ho dovuto relazionarmi con la Via Crucis già esistente, in bronzo, figurativa e di cui non si conosce l’autore. Ciascuna delle mie formelle è stata posta a confronto con quelle già presenti tramite un drappo rosso avente funzione di raccordo tra passato e presente, sia in senso pratico che concettuale. Questa scelta espositiva mette inscena una corrispondenza tra l’opera e l’architettura della chiesa. Il soffitto del Santuario che rappresenta il cielo si rispecchia nel pavimento che a sua volta configura la terra, il contrario succede nella mia disposizione. La versione figurativa è in alto e quella contemporanea sotto, in basso.
Quali altri interventi hai creato per luoghi sacri e dove?
In ordine cronologico ho presentato un progetto al Museo Diocesano di Milano (2011) che prendeva spunto dagli affreschi del Beato Angelico nelle cellette di San Marco a Firenze, dove tutto ruotava intorno all’incrocio di due rette che diventavano ora una Croce ora le coordinate x, y, z e la quarta il tempo. Nel 2012 al tempio Valdese di Milano presentai un video dal titolo MISTERO: egli stesso non era la luce. A Massa (2018) sempre al Museo Diocesano la mostra aveva come titolo “ARCHETIPO E MISTERO” , mentre a Pisa (2021) l’istallazione che ho inaugurato nella Chiesa di Santa Maria della Spina metteva in evidenza la luce che filtra attraverso i due rosoni della chiesa stessa. Al Diocesano di Sarzana (2024) la mostra si articolava attorno ad otto temi: la folgorazione, il sacrificio, il dubbio, la parola, la certezza, il potere, la fede e la passione.
Che ruolo ha per te l’Arte sacra nell’epoca digitale?
L’arte sacra in questa era digitale ha lo stesso ruolo che aveva nei tempi passati. Diffondere un pensiero e una tensione spirituale per rendere visibile, l’invisibile.
Nel Duecento erano le pale d’altare o gli affreschi che diffondevano il concetto religioso, nel periodo del Gotico Internazionale anche le miniature e i libri, oggi c’è anche l’arte digitale, un mezzo e non il fine in quest’epoca di fruizione delle immagini istantanee nel flusso della comunicazione in rete, ma c’è il rischio che una parte di persone non riescano ad usufruirne. L’arte in generale, compresa quella sacra dovrebbe prima di tutto, estetica compresa, portare ad una riflessione sulla condizione umana, porre domande a cui non sarà sempre possibile dare una risposta certa e definitiva. L’arte sappiamo, ci pone domande indispensabili, affinché il pensiero non si fermi ma cerchi sempre nuovi orizzonti per arrivare alla verità, senza sapere quale. A tal proposito mi vengono in mente, la videoinstallazione di Mark Wallinger esposta all’interno del Duomo di Milano, intitolata La Via Dolorosa nel 2002, che ha rielaborato il film Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli e poi quella di Bill Viola, “Study for The Part” all’interno della chiesa di San Marco a Milano.
Utilizzi diversi materiali, supporti e agisci in spazi pubblici e privati, sei un’artista concettuale, che importanza ha nel tuo lavoro il disegno e l’abilità manuale?
Nel mio piccolo libro dal titolo “IL DISEGNO HA UN’ANIMA. L’ANIMA DEL DISEGNO”, ho definito questa tecnica una brutta bestia. Quando ti prende è come un amore grande, non puoi dimenticarlo. Io sono stato preso. Il disegno è il pensiero e l’abilità manuale è il fare. L’uno comprende l’altro per creare l’opera.
Insegni matematica, che relazione c’è tra numeri, teoremi, problemi, formule e l’arte visiva?
La relazione è molto stretta più di quanto si possa pensare. Ogni opera è regolata da leggi non scritte. E’ una formula che permette, se applicata, di scoprire un universo e di entrare nella mente di chi l’ha concepita seguendo strade anche sconosciute. Il percorso creativo è sempre personale, autonomo e non è detto che coincida con il nostro pensiero. La matematica come l’arte ci permette di aprire gli orizzonti verso un mondo nuovo.
Hai sperimentato l’Intelligenza Artificiale, lo farai, perché?
Ancora no. Sicuramente mi avvicinerò a questo nuovo linguaggio, ma ho bisogno dei miei tempi.
Qual è l’opera che ti rappresenta di più?
“PRESENTE ASSENTE” è un lavoro del 2016. Mai esposto.
Una grande clessidra in vetro con dentro una finissima sabbia rossa. Un giorno a Milano camminando l’ho vista esposta nella vetrina di un negozio. Non ho esitato, sono entrato e l’ho fatta mia. Successivamente, dopo averla osservata a lungo ed essendo entrato in confidenza con lei è diventata un lavoro. E’ bastato appenderla con un drappo nero nel mio studio ed è diventata il mio mantra. L’attimo infinitesimale presente non esiste, appena lo nomini è già passato. L’opera rappresenta il dubbio, quale parte è il passato e quale il futuro? In questo lavoro sono concentrati lo spazio, il tempo e il colore. E’ stato sufficiente ruotare nello spazio la clessidra di novanta gradi per annullare la sua funzione e il rapporto con lo spazio stesso.
E poi, oltre al tempo, ci sono: il nero l’assenza e il rosso, il colore dei colori.













